Guerra in Ucraina: la testimonianza di Ino, scappata insieme con suo figlio Mark dalle bombe di Kiev
VITTUONE (MILANO) – Ha 42 anni Ino e in Ucraina faceva l’architetto. Con suo figlio Mark e il loro cagnolino ha percorso oltre 2.300 chilometri in auto, attraversando Ucraina, Polonia e Austria, per fuggire dai bombardamenti e mettersi in salvo. Nei giorni scorsi, dopo settimane di viaggio, è arrivata a Vittuone, dove ha trovato ospitalità dall’amica Irina, bielorussa, in Italia da 18 anni . Noi l’abbiamo incontrata e abbiamo raccolto la sua storia.

La storia di Ino
Ino, che in Ucraina ha la mamma, i fratelli e il padre di suo figlio (arruolato), è una donna forte e fiera. “Sono nata in Ucraina, a Odessa, e come molti miei connazionali parlo russo. Da due anni vivevo a Kiev. E il 24 febbraio, quando alle 4 di mattina sono state sganciate le prime bombe sulla città, io ero lì, in casa mia, con mio figlio Mark e il nostro cane”. Ino, in quei primi giorni, non si è rifugiata in un bunker: “Migliaia di persone sono andate a nascondersi nei sotterranei della metro o nei bunker. Io non volevo che mio figlio respirasse tutta quella paura. Ci siamo chiusi in casa e siamo rimasti 11 giorni in bagno, nascosti nella doccia con un materasso: era l’unica stanza della casa in cui non ci sono le finestre, quindi l’unico posto sicuro. Se scoppia una bomba, i vetri si infrangono. Lì eravamo al sicuro. Mark pregava in doccia (in foto): i primi giorni non faceva altro che piangere e il cuore gli batteva fortissimo. Temevo avrebbe ceduto”.
Il viaggio dall’Ucraina alla Polonia
Dopo 11 giorni, grazie alle indicazioni di un amico, Ino ha deciso di mettersi in viaggio, con la sua auto, seguendo un pullman che da Kiev era diretto a Leopoli. “Ho guidato per 18 ore senza mai fermarmi: di solito ci vogliono 5 ore per raggiungere Leopoli da Kiev. Abbiamo alloggiato per qualche giorno da alcuni parenti. I primi due giorni sono stati tranquilli, poi i bombardamenti sono iniziati anche lì”. Ino e Mark sono quindi stati costretti a nascondersi in un bunker, con bambini che piangevano a dirotto e la paura che rendeva l’aria ancora più densa: “In quel momento ho preso la decisione di partire per l’estero – continua Ino – Ci siamo diretti verso la Polonia. La guerra ti fa prendere decisioni che mai avresti immaginato: lasci tutto, la vita e la famiglia, pur di salvarti e salvare tuo figlio”.
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L’arrivo a Vittuone
Da Cracovia, Ino e Mark hanno continuato con un’amica verso Vienna, poi verso Linz e infine l’Italia, dove Irina, sua amica da 10 anni (si sono conosciute per lavoro e la loro amicizia è sempre rimasta solida negli anni, tant’è che Ino veniva a Vittuone, in occasione di fiere e saloni, due volte all’anno), la stava aspettando. “Ho passato le prime due ore in una vasca piena d’acqua: avevo bisogno di allentare la tensione. Nell’ultimo mese sono stata un robot, non potevo cedere al dolore e alle lacrime. Non potevo chiudere il cielo sopra mio figlio, ma non ho nemmeno saputo mentirgli, dicendogli che sarebbe finita presto. Per Mark sono stati giorni difficili, si spaventava per qualsiasi rumore. Ora sta meglio e vive questo trasferimento come un’avventura, una nuova esperienza. Per me non è lo stesso: mi sento al sicuro, ma non riesco a trovare pace. Ogni volta che sento le notizie sto male: non so nemmeno se la mia casa è ancora in piedi. La nostra è stata un’emigrazione forzata. Noi non cercavamo una vita migliore, perché la nostra vita è lì, in Ucraina, e non appena questa guerra sarà finita vogliamo tornare nel nostro Paese”. Ino, non avendo trovato un alloggio per sé e il figlio, pur essendo disposta a pagare, si trasferirà per qualche tempo in provincia di Varese, da un’amica. Ma vorrebbe tornare a Vittuone, o comunque in zona, per restare vicino a Irina.
L’associazione di Irina
Irina è membro di un’associazione di bielorussi in Italia, Supolka. Il gruppo, da sempre impegnato nella raccolta di fondi per aiutare chi viene ingiustamente carcerato in Bielorussia, si sta occupando di inviare denaro e aiuti in Ucraina. In questo momento ha avviato una raccolta fondi per l’acquisto di 20 dispositivi di trattamento ipobarico delle ferite, da inviare a quattro ospedali in Ucraina. “Questi dispositivi rappresentano un efficace strumento nel trattamento delle ferite – spiegano sulla loro pagina Facebook -. Il loro utilizzo salverà molte persone dall’amputazione e aiuterà ad evitare complicazioni dolorose. A essere feriti non sono solo i militari, ma anche i civili, uomini, donne e bambini. È molto importante ora sostenere coloro che resistono combattendo dalla parte dell’umanità, della solidarietà e del buonsenso”.