“Oggi, 8 gennaio 2017, mia moglie Giovanna Noè, una ragazza di quarantasei anni, madre di due bimbi: Edoardo e Ginevra, professoressa di lettere alla scuola media di Marcallo, è andata via. È morta. Abbiamo attraversato insieme un cammino di vita, nella buona sorte e nelle difficoltà, ma insieme e con profondità di parola. Era la mia amatissima bambina. Ed oggi è partita in avanguardia”. (Emanuele Torreggiani)
9 GENNAIO 2017
MAGENTA (MILANO) – “Oggi, 8 gennaio 2017, mia moglie Giovanna Noè, una ragazza di quarantasei anni, madre di due bimbi: Edoardo e Ginevra, professoressa di lettere alla scuola media di Marcallo, è andata via. È morta. Abbiamo attraversato insieme un cammino di vita, nella buona sorte e nelle difficoltà, ma insieme e con profondità di parola. Era la mia amatissima bambina. Ed oggi è partita in avanguardia. A lei la preghiera gaelica, la nostra preferita: ‘Possano le strade farsi incontro a te. Possa il vento essere alle tue spalle. Possa il sole splendere caldo sul tuo viso… Possa la pioggia cadere leggera sui tuoi campi. E fino a quando non ci rincontreremo, possa Dio tenerti nel palmo della Sua mano’. Ecco. È tutto. Cosa? L’immortalità”. Con queste parole, al solito meravigliose per intensità e purezza, Emanuele Torreggiani, il mio maestro di giornalismo e, spesso, di vita, ha salutato la sua amatissima Giovanna.
La conoscevo dal 1992. Anno decisivo, perché allora scelsi il giornalismo come passione e come mestiere. Fu Giovanna ad aprirmi le porte di questo mondo pieno di fascino; fu Emanuele a mostrarmi come avrei dovuto esplorarlo, non di rado proteggendomi dalle insidie. Allora avevo 19 anni, mi ero appena iscritto alla facoltà di Filosofia e la redazione di ‘Città Oggi’ – un piccolo open space in via IV Giugno a Magenta – mi sembrava enorme. Ci andavo tutte le volte che potevo. Lì conobbi Fabrizio Provera. E diventammo molto amici. Il tempo ci fece battere strade diverse, discutere, litigare. Su una cosa non cambiammo mai idea: il nostro maestro, Emanuele. Che entrambi adesso – ne sono convinto – vorremmo abbracciare forte. E, se fosse possibile, prenderci un po’ del suo dolore.
Le cose andarono più o meno così. Giovanna studiava Lettere alla Statale di Milano e scriveva la cronaca di Buscate (dove viveva) e di Arconate, il mio paesello d’origine. E sempre ad Arconate, Giovanna, aveva il suo parrucchiere di fiducia. Un giorno chiacchierando lei gli chiese se non ci si fosse un ragazzo che potesse prendere il suo posto come cronista di Arconate. Giovanna amava fare le cose bene, sempre. Le piaceva la precisione. Gli studi la impegnavano parecchio e non riusciva più a curare due comuni. Il mio nome saltò fuori così, quasi per caso. A ‘Città Oggi’ imparai soprattutto due cose. La prima: fare il giornalista vuol dire non aspettarsi né applausi né tappeti rossi, ma scrivere con onestà quello che vedi e quello che senti. La seconda: prima di scrivere bisogna leggere, tanto. Un giorno Emanuele mi portò a casa sua: c’era una libreria immensa. Io prendevo un libro a caso e lui me ne parlava. Erano migliaia. Li aveva letti tutti. Ero imbarazzato. Ricordo che ne parlai a Giovanna. E lei, con un sorriso che non cambiò mai nel tempo, mi disse con un velo di disincanto: “Sì ma, non farti impressionare eh”.
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Mi diceva tante altre cose, a volte molto dure. Rimproveri di chi voleva bene a un ragazzo che si agitava e tendeva a strafare: “Quell’articolo non mi è piaciuto, per nulla. Esagerato, smodato. Puoi fare molto di meglio”. Oppure: “Ti ho corretto il pezzo, ho eliminato due frasi, va bene così”. Col tempo si convinse che avrei dovuto lasciare Arconate: “Ho letto l’articolo su Magenta, bello! Lo dico sempre che sei più bravo a fare gli ‘esteri’. Lascia stare Arconate, non farti ossessionare”. Aveva ragione. Lo compresi anni dopo, quando andai a Milano e mi dimenticai, per un po’, del mio paesello, croce e delizia.
Rividi Giovanna nell’ottobre 2011, quando mi telefonò per farmi i complimenti. Ero appena stato scelto come direttore dell’Altomilanese e lei aveva guardato il video di presentazione, dove avevo rispolverato un nostro vecchio modo di dire di quegli incantevoli anni Novanta: “Città Oggi, tutti i giovedì in edicola, anche al mattino presto”. Rideva di gusto, mi disse che sarebbe stata una mia fedele lettrice. Me lo disse di nuovo, quando la incontrai sotto la redazione, a Magenta, in piazza Vittorio Veneto. Ne ero felice. Ero felice della sua stima, della sua amicizia. Cose rare, che duravano nel tempo, pur vedendoci ogni tanto. Ero felice di incontrarla per caso, in giro per la città. Giovanna sapeva trasmetterti, con un sorriso o uno sguardo o una parola, un mare di serenità.
Questo, più di ogni altra cosa, ricordo di lei: quegli occhi che sfavillavano, la gioia che si diffondeva attorno, la serenità che ti accompagnava. L’ultima volta che la vidi fu quest’estate, alla piscina di Pontenuovo. Era con Ginevra. La baciai e la abbracciai. Non ci incontravamo da tanto. Poi Emanuele ed io restammo un’oretta a parlare di cose in sospeso, di lavoro, di politica, di letteratura e di noi, come sempre. Fatico a credere che Giovanna non ci sia più. Fatico a crederlo, perché mi sembra irreale. E fatico a crederlo, perché è ingiusto. E’ disumano. Ciao Giò, ciao carissima amica.