Dal 2001 al 2013, ad Arconate, si è praticata la politica del ‘Panem et circenses’: la gente è stata chiamata in piazza a mangiare, bere e divertirsi. Così, in questa ubriacatura da carnevale permanente, il consenso è andato alle stelle. Ma per la cultura sono stati anni bui, anche se oggi qualcuno tenta di difenderli, elencando una serie di concerti, mostre e iniziative che vanno in scena in tutti i comuni del mondo. Fare cultura, però, significa un’altra cosa. Ed è una cosa molto distante (e molto diversa) dalla propaganda. Per quella il fascismo inventò il MinCulPop, un modello che va ancora di moda

27 MARZO 2016

di Ersilio Mattioni

ARCONATE (MILANO) – Il piccolo paese in provincia di Milano, salito alla ribalta delle cronache per l’arresto dell’ex sindaco Mario Mantovani, non finisce di stupire. Di recente è stato distribuito nelle case l’opuscolo patinato ‘Noi siamo con Mantovani’, dove si avvia ufficialmente la causa di beatificazione dell’imputato per corruzione, concussione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio, che nel frattempo è ancora agli arresti. Fra gli articoli non a tema trova spazio anche una curiosa lettera dell’ex consigliere delegato alla Cultura dal 2001 al 2007, cioè negli anni in cui Arconate, con Mantovani sindaco, fu trasformata in una sorta di carnevale permanente: feste, balli, concerti, risotti in piazza e molto altro, fra cui l’iniziativa forse più kitsch che si ricordi: l’8 Marzo celebrato con l’evento ‘Donne a cena con il sindaco’.  In questo contesto fare cultura era difficile. E il nostro giornale – di recente – lo ha ricordato, definendo “anni bui” il periodo che va dal 2001 al 2013. Così l’ex delegato alle politiche culturali è tornato in campo (peraltro con un tempismo perfetto). Sostenendo due cose. La prima: di aver inviato una lettera al nostro giornale senza ottenerne la pubblicazione. La seconda: di aver svolto, fra il 2001 e il 2007 (anni in cui si dimise per generiche ragioni di lavoro, ma a noi risulta che i motivi fossero anche politici), un’importante attività a favore della cultura.

Il giallo (inesistente) della lettera non pubblicata

Libera stampa l’Altomilanese è un settimanale che si trova in edicola ogni venerdì mattina: fondato nel 2013 da chi scrive (che oggi è responsabile dei corsi di formazione per gli aspiranti cronisti, direttore dell’edizione on line, collaboratore del Fatto Quotidiano e dell’Espresso). Chi conosce il nostro giornale sa che non siamo soliti pubblicare qualunque cosa, per la semplice ragione che i giornali non sono cassette delle lettere né luoghi per sfogarsi. Lo scritto dell’ex consigliere delegato alla Cultura di Arconate è stato considerato residuale, come del resto molti dei comunicati stampa che ci inviano i politici. Nessun giallo, dunque. Quello scritto non è stato pubblicato perché non è stato ritenuto interessante né utile. Anzi, essendo molto lungo, la sua pubblicazione sarebbe stata dannosa: avrebbe privato i lettori arconatesi di notizie più interessanti. Si può non condividere la scelta, ma occorre rispettarla senza urlare allo scandalo. Un giornale – che è pagato con soldi privati, che vive grazie alle vendite e alla pubblicità – decide cosa pubblicare e cosa no nell’interesse dei suoi lettori e seguendo una linea editoriale. La libertà di stampa, infatti, non può prevedere l’obbligo di pubblicare tutto ciò che viene inviato a una redazione. E la cosa ci sembra abbastanza intuitiva.

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Cultura e MinCulPop

A stupire è la difesa che l’ex consigliere delegato alla Cultura di Arconate fa del proprio lavoro, svolto fra il 2001 e il 2007. Una difesa che consiste in un elenco di iniziative (mostre, concerti, concorsi e decisioni intercomunali sui nuovi servizi) che qualunque assessore di qualunque comune al mondo potrebbe rivendicare, dal momento che una pubblica amministrazione possiede al proprio interno meccanismi rodati. E allora succede che se hai bibliotecari bravi (come nel caso di Arconate) e se hai una Commissione di persone competenti che ti aiuta (come nel caso di Arconate), ti ritroverai alla fine del tuo mandato con un discreto numero di iniziative da elencare. Ed è giusto elencarle, anche se l’assessore di turno non ha nessun merito. Fare cultura vuol dire un’altra cosa: concepire progetti di respiro ampio (fra il 2001 e il 2007, quali sono stati?); guardare lontano e investire senza per forza vedere i risultati (mentre ci si vanta di aver portato amici e parenti a battere le mani alle iniziative); lasciare una traccia a chi viene dopo (invece la nuova amministrazione ha trovato il deserto); accrescere il patrimonio librario ponderando le scelte (ne sa qualcosa l’ex assessore Christian Ferrario: epiche le sue battaglie in giunta fra il 1997 e il 2001 per ottenere soldi per acquistare libri, peccato che il suo esempio non sia stato più seguito); stimolare lo spirito critico dei cittadini fornendo loro strumenti per informarsi (però nel 2001 il primo atto della nuova amministrazione fu chiudere lo storico giornale comunale Ciac per sostituirlo con La Cicogna, rivista celebrativa delle eroiche gesta di sindaco, assessori e consiglieri); difendere i luoghi della cultura (in primis la biblioteca, mentre abbiamo assistito al suo trasferimento dallo storico palazzo Taverna, concepito per essere l’agorà della vita culturale del paese, a una stanzetta del centro pensionati, dove manca lo spazio minimo per lavorare). E allora, di cosa stiamo parlando? L’impressione è che le varie amministrazioni Mantovani abbiano confuso la Cultura con il MinCulPop, un dicastero inventato dal fascismo nel 1937, che fu uno strumento per il controllo sulla cultura e per l’organizzazione della propaganda del regime. L’ex consigliere sembra infatti dimenticarsi che fra il 2001 e il 2013 il 95% delle risorse destinate agli eventi servì a pagare feste, balli e risottate. I latini dicevano ‘Panem et circenses’, che potremmo tradurre liberamente con ‘Mangiare, bere e divertirsi’. Questo fu il tratto distintivo delle amministrazioni Mantovani: chiamare la gente in piazza a ridere e scherzare (con tanto di comizi nei quali si offendevano gli avversari politici). Legittimo, perché i governanti spendono i soldi dei cittadini come desiderano e poi, dopo cinque anni, si sottopongono al voto. Succede spesso che la formula ‘Panem et circenses’ funzioni, generando grandi consensi. Ma tutto questo sarebbe cultura? Suvvia, non scherziamo. L’ex consigliere delegato metta da parte la permalosità e provi a riflettere, senza emotività e con quel distacco necessario per comprendere gli eventi passati. Capirà, forse, che aver organizzato quattro mostre, cinque concerti, due fiere e tre presentazioni di libri significa al più aver montato un piccolo bazar. La cultura è un’altra cosa. Ed è una cosa seria. Lo stesso termine (‘cultura’: dal latino ‘colere’, cioè ‘coltivare’) implica lo sforzo, spesso titanico, di chi vuole misurarsi con una missione in qualche modo velleitaria: credere che, nella vita, non si smetta mai di crescere e che, quando si è particolarmente bravi, si possa ambire anche a far crescere un po’ anche gli altri.