Il paese di don Camillo e Peppone sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Il sindaco Pd aveva definito il boss locale “una persona perbene e stimabile”. Ma i ‘dem’, in terra emiliano-romagnola, continuano a negare l’esistenza delle cosche calabresi, che si stanno mangiando la regione

20 APRILE

di Redazione

BRESCELLO (REGGIO EMILIA) – Era nell’aria. Oggi il comune di Brescello è stato sciolto dal Consiglio dei ministri per “infiltrazioni mafiose”. Il paese, noto per don Camillo e Peppone, è il primo caso in Emilia Romagna, regione da anni fortemente infiltrata dalla ‘ndrangheta, complice una politica troppo spesso insensibile, che ha sottovalutato, per ingenuità o per convenienza, i continui episodi di stampo mafioso. Chi parla di “anticorpi solidi”, riferendosi alla regione governata da sempre dalla sinistra, non sa davvero quello che dice. Qui i tentacoli delle mafie sono stati capaci di influenzare, un po’ ovunque, le grandi scelte politiche e amministrative.

Il caso Brescello

L’amministrazione comunale era finita nei guai a gennaio del 2015. Dalle carte dell’inchiesta Aemilia (il processo è in corso e vede alla sbarra 230 imputati) erano emersi gli interessi della cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri nel settore degli appalti pubblici e delle immobiliari riferibili a diversi comuni, tra cui proprio Brescello. Da qui la decisione della Prefettura di insediare in municipio la Commissione d’accesso, per passare sotto la lente d’ingrandimento tutti gli atti del governo cittadino di centrosinistra. Dopo qualche mese è arrivata la proposta di scioglimento, inoltrata dal prefetto Raffaele Ruberto al ministro degli Interni Angelino Alfano. Secondo il prefetto “esiste il concreto pericolo che l’attività del comune sia stata e sia tuttora condizionata da infiltrazioni mafiose”.

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Dipendenti comunali al soldo del boss

Un convincimento nato dalla lettura della relazione della Commissione (formata dal viceprefetto Adriana Cogode, dal capitano dei Carabinieri di Castelnovo Monti Dario Campanella e dal funzionario Giuseppe Zarcone), dalla quale emerge per esempio  che dipendenti comunali con contratti a tempo determinato sarebbero riconducibili alla famiglia del boss Nicolino Grande Aracri.

Gli appalti e i terreni

E poi ci sono appalti e subappalti, affidati con iter e sistemi discutibili. A tutto ciò si aggiungono gli affari sui terreni, che cambiano destinazione e, da agricoli, diventano residenziali e industriali. Terreni che sono quasi tutti in un quartiere chiamato ‘Cutrello’, in cui abita Francesco Grande Aracri, fratello del boss Nicolino.

Il sindaco Pd da rottamare

E il sindaco Pd, Marcello Coffrini, che ha fatto? Nulla. Anzi, una cosa sì: una dichiarazione dell’altro mondo, nella quale definisce il boss del clan di ‘ndrangheta “una persona perbene e stimabile”. Per queste vergognose parole il primo cittadino si era dimesso il 30 gennaio 2016. E fanno sorridere le parole della Regione, sempre a guida Pd, espresso con una nota: “Lo scioglimento per mafia di Brescello è un’onta che ci sprona a fare di più”. Autore di questa profonda riflessione è l’assessore regionale alla Legalità, Massimo Mezzetti. Al quale bisognerebbe ricordare che non è il caso di fare di più, ma di fare qualcosa.

Movimento 5 Stelle: “Commissione permanente sulla mafia”

Il consigliere regionale M5s Giulia Gibertoni chiosa: “Non ci sorprende. E’ l’ennesima dimostrazione che in Emilia Romagna il radicamento della criminalità organizzata è ormai un dato di fatto. Peccato che siano proprio le nostre istituzioni, prima tra tutte la Regione, a non volersene ancora rendere conto, vista l’assoluta riluttanza a voler istituire una commissione permanente sulla mafia”. Come dare torto ai ‘grillini’?