Succede a Boffalora sopra Ticino, nel Milanese: il portalettere si è difeso in Tribunale, ma la Cassazione lo ha condannato.

2 FEBBRAIO 2020

di Francesca Ceriani

BOFFALORA SOPRA TICINO (MILANO) – Gettava nel cestino la posta indirizzata ad alcuni residenti di Boffalora sopra Ticino, nel Milanese: condannato un portalettere.

La condanna

Una storia che ha dell’incredibile quella che vede come protagonista C.A., postino 33enne originario di Napoli, condannato dalla Corte di Cassazione per il reato di violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza (reato per il quale è prevista la reclusione fino a un anno o una multa da 30 a 516 euro). I fatti risalgono al 2012, ma la sentenza definitiva è arrivata solamente nel 2019.

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L’episodio incriminato

Il 12 settembre di sette anni fa C.A., che quel giorno avrebbe dovuto consegnare la posta a Boffalora , decide di gettare una parte della corrispondenza in un cestino. A finire nell’immondizia sono un gruppo di lettere e l’avviso di giacenza di una raccomandata (recante la data di consegna). Dieci giorni dopo, il 22 settembre, la corrispondenza viene ritrovata all’interno del cestino. Da quel momento scattano i sospetti sul 33enne che, nel frattempo, si era licenziato e aveva iniziato un nuovo lavoro. Esattamente il 13 settembre, infatti, C.A. aveva rassegnato le sue dimissioni, vista l’imminente scadenza del contratto.

In Tribunale

L’uomo, condannato sia in primo grado sia in Appello, ha provato a difendersi in Tribunale, presentando ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado. I suoi legali, in aula, hanno portato a sostegno della sua innocenza due motivi precisi.

I riferimenti temporali

Il primo: le buste di corrispondenza ordinaria non recavano riferimenti temporali, il che non poteva far escludere che il loro recapito fosse stato affidato ad altri portalettere successivamente alle dimissioni dell’imputato. Il rinvenimento, tra la posta abbandonata, anche dell’avviso di giacenza, insomma, non poteva, secondo gli avvocati, far attribuire a C.A. l’attività illecita; infatti, non era stato accertato se la raccomandata fosse stata ritirata dal destinatario: questa circostanza avrebbe potuto dimostrare che l’avviso trovato nel cestino fosse un duplicato.

Le dimissioni

Il secondo: per i legali del 33enne sarebbe incoerente la motivazione della Corte d’Appello circa il movente che aveva potuto spingere l’imputato a commettere il fatto, ovvero il rancore per il datore di lavoro legato al mancato rinnovo del contratto. Il 33enne infatti sapeva che il contratto era stagionale. Ma la Cassazione, alla fine, ha respinto il ricorso, ritenendo infondati i motivi addotti dalla difesa di C.A. e ha condannato il 33enne al pagamento delle spese processuali.