“Dalle cosche soldi per la costruzione”. Lo dice un pentito dell’ambito dell’inchiesta Tipographic. Secondo il collaboratore di giustizia la parrocchia di Sant’Antonio a Prisdarello, frazione di Gioiosa Jonica in provincia di Reggio Calabria, cercava denaro per edificare una chiesetta alla fine degli anni ’90. E la ‘ndrangheta, quel denaro, lo offrì di tutto cuore. Il parroco non ci penso due volte, lo prese e ringraziò. Una storia poco edificante, raccontata da  sul Fatto Quotidiano.

16 MARZO 2016

di Redazione

GIOIOSA JONICA (REGGIO CALABRIA) – Interrogato dall’allora Pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Paolo Sirleo, il pentito Antonio Femia, detto “Titta”, svela il rapporto, da sempre ambiguo e per questo inconfessabile, tra la ‘ndrangheta e la chiesa cattolica locale. Ma quel verbale, inserito nell’ordinanza di custodia dell’inchiesta ‘Tipographic’ che ha portato all’arresto di 34 persone stroncando la cosca di Gioiosa Jonica e il suo giro di usura, era rimasto segreto. Ora è venuto a galla. Il 25 agosto 2015 il pentito è tornato sulla figura di Nicola Antonio Simonetta, personalità di spicco della ‘ndrina di Prisdarello. Secondo il pentito Femia, Simonetta gestiva alcuni locali tra cui un ristorante “dove avevano luogo riunioni di ‘ndrangheta e mangiate in occasione di incontri tra affiliati”. Un ristorante che Simonetta aveva creato in un locale acquistato all’asta dal Comune di Gioiosa Jonica per 151.000 euro. Lì vicino, nella frazione di Pisdarello, c’è la chiesta dedicata a Sant’Antonio, edificata nel 1996. E il pentito non ha dubbi: “Per la costruzione della chiesa la ‘ndrangheta ha messo dei soldi”.

‘Pecunia non olet’

In realtà, per costruire la chiesta di Sant’Antonio, la parrocchia chiese ai fedeli di mettere mano al portafogli e venne costituito un apposito comitato fra i residenti del luogo. Ma il denaro raccolto non bastava. E allora ci pensarono gli uomini delle cosche, da sempre devoti a santi e madonne. Il parroco, a quanto pare, ne venne a conoscenza, ma chiuse entrambi gli occhi, incassò i soldi, ringraziò e cominciò a costruire la sua chiesetta, felice e contento.

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I rapporti mafia-chiesa

Non è la prima volta che, nelle inchieste sulla ‘ndrangheta, spuntano strani legami tra preti e mafiosi. Nella Piana di Gioia Tauro, a Oppido Mamertina, un giovane della cosca Mazzagatti, Simone Pepe, fu arrestato un paio di anni fa per aver dato un uomo in pasto ai maiali. Disse a un amico: “L’arcangelo Gabriele, quello con la spada che cacciò Lucifero dal Paradiso, ci protegge. Quando mi hanno battezzato hanno bruciato la sua immagine nel palmo della mia mano”. E sempre allo stesso amico racconta come, in occasione della processione, gli affiliati alla ‘ndrangheta portano per le strade del paese la vara della Madonna addobbata con l’oro che i clan (e non solo) avevano donato alla Chiesa. Oro che spar’, rubato da “tre picciotti di basso rango”. Ma fu prontamente recuperato il giorno stesso e riportato in chiesa. E che fine fecero i tre picciotti? Pepe si esalta: “Minchia li ammazzarono tutti”. Nel nome di Dio.