La mozione di sfiducia Pd e 5 Stelle sarà respinta da una maggioranza granitica, che ha una paura folle di tornare alle urne. Ma oggi in aula il governatore dovrà anche rispondere a due interrogazioni su quell’ospedale in Brasile finanziato dalla Regione e occasione di affari sporchi, mentre giovedì comincia il processo che potrebbe costare il posto al presidente leghista. Tra i testimoni anche Pisapia, Sala e Mantovani

1 MARZO 2016

di Ersilio Mattioni

MILANO – L’impressione è che, in altri tempi, il governatore della Lombardia si sarebbe già dimesso. Ma questi non sono tempi normali e il centrodestra non può permettersi le elezioni anticipate. Basta dare un occhio alla maggioranza: Forza Italia ridurrebbe a un terzo i suoi consiglieri, il Nuovo Centrodestra e la Lista Maroni sparirebbero e la Lega Nord farebbe segnare una brutta battuta d’arresto. Allora forse si capisce perché i partiti che sostengono il governatore padano si stiano arroccando dentro il Pirellone, incuranti di tutto ciò che è successo (l’arresto dell’ex assessore alla Salute, Mario Mantovani, nell’ottobre 2015; l’arresto dell’ex presidente della Commissione Sanità, Fabio Rizzi, lo scorso febbraio; il rinvio a giudizio per Maroni, che giovedì sarà a processo per spiegare uno strano viaggio a Tokyo, poi saltato) e tutto quello che sta succedendo, ovvero le indagini della Procura di Milano che appaiono come la fase due dell’inchiesta Rizzi, la quale potrebbe coinvolgere altri politici e manager lombardi. La sensazione è che questa Lombardia da rottamare, piena di scandali e corruttele, stia per saltare per aria. E che nessuno salverà Maroni da quello che sembra essere un epilogo inevitabile.

La mozione di sfiducia e le proteste

Oggi la battaglia d’aula non dovrebbe riservare sorprese. I numeri sono chiari: 49 consiglieri di maggioranza contro 31 di opposizioni. Dunque la mozione di sfiducia non passerà. Intanto, a quattro mesi dall’arresto di Mantovani e a due settimane da quello di Rizzi, Maroni annuncia con un ritardo clamoroso l’istituzione di un’autorità lombarda anticorruzione. Il che fa sorridere i suoi avversari, che protestano sotto la sede della Regione: domenica è toccato ai ‘grillini’, oggi sarà la volta dei giovani del Pd, che manifesteranno mostrando dentiere finte, simbolo delle accuse di tangenti sui cosiddetto ‘sistema Canegrati’, ovvero quel business da 386 milioni l’anno gestito dalla ‘zarina’ dell’odontoiatria lombarda, tuttora in carcere.

Sostieni la Libera Informazione


Sul nostro giornale on line trovi l’informazione libera e coraggiosa, perché noi non abbiamo padroni e non riceviamo finanziamenti pubblici. Da sempre, viviamo soltanto grazie ai nostri lettori e ai nostri inserzionisti. Noi vi offriamo un’informazione libera e gratuita. Voi, se potete, dateci un piccolo aiuto.

Il silenzio di Maroni

Il governatore aspetterà in silenzio il voto sulla mozione di sfiducia, non sono previsti suoi interventi. Dopo il voto di censura alla giunta leghista, si aprirà il dibattito sulle interrogazioni. Due in particolare – una del Pd e una del Movimento 5 Stelle – chiedono a Maroni di spiegare la strana vicenda dell’ospedale pediatrico in Brasile, finanziata dalla Lombardia e oggetti degli interessi dell’arrestato Rizzi, che intercettato dice alla compagna: “E’ una cosa grossa (…) Potrebbero venire fuori due milioni a testa”. Del resto, la giunta avrebbe affidato proprio a Rizzi “la promozione di accordi di cooperazione sanitaria internazionale” per conto del Pirellone. Anche di questo il governatore leghista dovrà rispondere.

Il processo e i testimoni

Ad agitare le acque, infine, il processo a Maroni che comincia giovedì mattina. Il presidente lombardo è accusato di “turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita a dare o promettere utilità” per aver messo in atto presunte pressioni, al fine di procurare un lavoro a due sue ex collaboratrici. E poi c’è la questione del viaggio a Tokyo nel 2014, quando Maroni avrebbe voluto essere accompagnato da Maria Grazia Paturzo e avrebbe pure chiesto che fosse la società Expo (il cui azionista di maggioranza è il comune di Milano) a pagare biglietti aerei e hotel per la sua ‘collaboratrice’. Giuseppe Sala (ad di Expo) disse no. Il viaggio saltò e al posto del governatore partì il suo vice, Mario Mantovani. Per questo, tra i testimoni, sono stati indicati il sindaco Giuliano Pisapia, Sala e Mantovani.