Nel 2005 aveva già capito tutto. Accusato di autoritarismo, in realtà difese la fragile democrazia italiana dall’assalto degli estremisti. E obbligò i partiti a misurarsi coi temi dell’etica pubblica e della competenza, usciti da tempo immemore dall’agenda politica. Voleva cambiare il Paese. In parte ci è riuscito

13 APRILE 2016

di Ersilio Mattioni

MILANO – La morte di Gianroberto Casaleggio, fondatore assieme a Beppe Grillo del Movimento 5 Stelle, era in qualche modo annunciata. Il leader politico, poco avvezzo alla ribalta mediatica, schivo e allergico alle telecamere, era malato da tempo e lottava per sconfiggere un tumore al cervello. Lui stesso aveva preparato la successione, prima con la nomina del direttorio (nel quale Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista occupano i ruoli di maggiore responsabilità/visibilità) e poi con il passaggio di consegne ai figlio Davide, che oggi gestirà la ‘Casaleggio Associati Srl’ e dunque anche la comunicazione (o meglio, la strategia) del Movimento di Grillo.

Le intuizioni geniali

Casaleggio, nel 2005, aveva già capito tutto. Se i ‘grillini’ non erano ancora una forza politica nazionale e viaggiavano su percentuali del 2-3%, l’idea che li guidava era geniale: in una nazione dove i partiti avevano ucciso la democrazia, bisogna uccidere i partiti. E di conseguenza sarebbe rinata una democrazia diversa, diretta. La rete, in questa partita decisiva per la storia politica d’Italia, avrebbe giocato il ruolo più importante: unire, scambiare le informazioni, condividere. E poi, in ultima analisi, decidere. Per la prima volta i cittadini contavano qualcosa. Si è detto che a partecipare alle votazioni on line erano in pochi. Vero, erano quelli che credevano nel Movimento 5 Stelle, il quale andava protetto dalle infiltrazioni. E nel 2013, quando i ‘grillini’ diventarono il primo partito italiano, quei cittadini continuavano a contare: decidevano persino se espellere i parlamentari che violavano i regolamenti interni, il cosiddetto non-statuto. Per capire che l’Italia era pronta per una rivoluzione del genere ci voleva un genio. Non a caso il fenomeno Casaleggio viene studiato nelle università: è unico nel suo genere, è incredibile anche solo da immaginare.

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Il concetto di democrazia

E’ il tallone d’Achille di Casaleggio e di Grillo, perché sugli esponenti del Movimento 5 Stelle viene esercitato un controllo ferreo. Forse si tratta di un controllo necessario per un partito-non partito cresciuto a velocità folle. Fatto sta che il dissenso non viene minimamente tollerato e che nell’ultimo disegno di legge di riforma dei partiti (presentato in parlamento e ispirato da Casaleggio) si propongono cose assai interessanti ma non si fa cenno, neppure per sbaglio né per salvare le apparenze, alla democrazia interna, come invece dispone quella Costituzione che i ‘grillini’ hanno sempre difeso contro gli assalti di Silvio Berlusconi ieri e di Matteo Renzi oggi. Un paradosso difficile da spiegare.

La difesa della democrazia

Eppure si deve proprio a Casaleggio la difesa della democrazia italiana, perché con l’invenzione di Movimento 5 Stelle – capace di incanalare la rabbia popolare – il nostro Paese è rimasto immune dalle derive estremiste. Mentre in molte parti d’Europa si assiste a un crescendo preoccupante della destra nazi-fascista e razzista che macina consenso soffiando sul fuoco delle paure e sfruttando la crisi economica, in Italia questa rabbia è stata portata dentro le istituzioni. Ed è stata gestita, perché è stata fornita l’unica risposta possibile: per fare la rivoluzione non serve la violenza, bensì deporre nell’urna una scheda usando il cervello, il cuore e un po’ di coraggio, magari anche un pizzico di incoscienza. Casaleggio voleva cambiare l’Italia. In parte ci è riuscito. Senza di lui, continuerà la marcia 5 Stelle che ha obbligato l’intero arco costituzionale a misurarsi coi temi (da tempo immemore usciti dall’agenda) dell’onestà, dell’etica pubblica, della competenza e della trasparenza? Al netto dei difetti, che non sono pochi, francamente lo speriamo.