Tre incontri: il 13 febbraio interviene Alessandra Dolci, Pm della Direzione distrettuale Antimafia

31 GENNAIO 2016

di Redazione

CASTANO PRIMO (MILANO) – Sabato 30 gennaio si è svolto il primo incontro del progetto ‘Insieme nelle legalità’ presso l’Istituto Torno di Castano. L’iniziativa è stata organizzata dall’amministrazione comunale, dalla Carovana Antimafia e dalla presidenza della scuola, e vedrà circa 200 ragazzi prendere parte ad altri due incontri: il 6 febbraio e il 13 febbraio, quando giungerà alle scuole superiori anche il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci.

La mafia tra affari e politica

La struttura della ‘Ndrangheta, i principali affari, l’infiltrazione nel territorio lombardo, le maggiori inchieste condotte in Lombardia, la confisca dei beni alla criminalità organizzata: questi gli argomenti toccati dai relatori delle tre giornate, Erika Innocenti e Daniele Di Sica. Nel primo incontro i due cronisti hanno cercato di spiegare nel dettaglio come è nata la ‘Ndrangheta, illustrandone la storia e soprattutto le motivazioni che hanno permesso il dilagare delle famiglie mafiose in Lombardia. I ragazzi del Torno e i presenti, tra cui il sindaco Giuseppe Pignatiello, l’assessore alla Cultura Luca Fusetti, il vicepreside del Torno Piero Garavaglia, e i professori hanno dovuto confrontarsi con una tematica delicata e sempre più attuale, ovvero come è possibile educare alla legalità nella vita quotidiana e nelle azioni che si compiono tutti i giorni.

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La droga, il business della mafia

“Già comprando della droga – dichiara l’assessore Fusetti – si fa un favore alla mafia, si danno soldi che aumentano il loro business, e come diceva Giovanni Falcone, questo ci fa rassomigliare a loro. Ed è per questo che bisogna smettere di bagnare quella pianta che è la criminalità organizzata”. Molti gli spunti di discussione che sono nati durante le due ore di dibattito presso l’aula magna del Torno: il concetto di responsabilità verso se stessi e la collettività, il rispetto delle leggi, delle istituzioni e dell’altro, la reazione concreta ai soprusi della mafia. Non sono mancate le provocazioni volte a far riflettere i presenti, tra cui quella lanciata dal vicepreside Garavaglia: “Sono 20 anni che sento gli stessi nomi e cognomi di famiglie mafiose, eppure oggi li sento ancora come se non fosse cambiato nulla. Com’è possibile?”

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano

Una domanda, quella del vicepreside che pone l’accento sulla lentezza della burocrazia che molto spesso intralcia il lavoro della magistratura durante l’esecuzione dei processi. Un dubbio che potrebbe rivelarsi il fulcro dell’incontro con il magistrato Dolci, che si terrà sabato 13 febbraio dalle 10.15 alle 11.45. I ragazzi del Torno hanno voglia di cambiare, di partecipare attivamente alla creazione di una nuova mentalità capace di opporsi alla malavita attraverso la legalità. “Come facciamo davvero a opporci a tutto questo?” è la domanda che ricorre tra i ragazzi al termine dell’incontro. Lo scopo che questo progetto si propone è mostrare, come disse Paolo Borsellino, che “se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e la misteriosa mafia svanirà come un incubo”.

Il commento di Ersilio Mattioni

Giornalisti liberi contro garantisti della domenica

La cosa più utile che penso di aver fatto da giornalista è stato fondare e dirigere per quattro anni Libera Stampa l’Altomilanese, perché abbiamo dimostrato, i ‘miei’ cronisti ed io, che si può fare del buon giornalismo anche con pochi mezzi, anche essendo piccoli, anche senza i soldi del finanziamento pubblico, anche senza padroni né padrini. Abbiamo dimostrato di non avere paura – in mezzo a un silenzio, spesso imbarazzante, della politica e degli altri organi di stampa (con rarissime eccezioni) – a denunciare il malaffare, la corruzione, gli sprechi e l’arroganza dei potenti di turno, mentre i nostri sedicenti ‘colleghi’ suonavano il violino a questa gentaglia. Abbiamo denunciato – in mezzo allo stesso silenzio imbarazzante di cui sopra – le infiltrazioni della ‘ndrangheta in un territorio che si credeva un’isola felice, mentre tanti sindaci negavano di conoscere i mafiosi che vivevano nei loro comuni e i nostri sedicenti ‘colleghi’ dicevano che la mafia, nell’Altomilanese, era una nostra invenzione, che lo facevamo per vedere più copie.

E quando sono arrivati i magistrati a indagare i politici per corruzione, allora siamo diventati “giustizialisti e forcaioli”, mentre loro, i nostri sedicenti ‘colleghi’, sono i garantisti (della domenica però, perché per ‘garantismo’ intendono difendere a priori un politico indagato ed evitare con cura di leggere la carte giudiziarie: hai visto mai che ti tocca cambiare idea). E quando una mattina, in redazione, è arrivata una busta con dentro un proiettile, la mia fotografia e quella dell’amico Piero Sebri, animatore della Carovana Antimafia, una sedicente ‘collega’ – e dio solo sa perché ha deciso, nottetempo, di fare la ‘giornalista’ – se ne andava in giro dicendo che era stata una trovata pubblicitaria, che eravamo stati noi a spedirci quel bossolo.

Noi, i ‘miei’ cronisti ed io, non abbiamo protestato, non abbiamo fatto una piega. Neppure quando un sindaco si è rivolto ai carabinieri perché intervenissero su Ester Castano, la nostra cronista che scoperchiò il ‘caso Sedriano’, per impedirle di fare il suo lavoro, di fare domande, di andare in municipio. Quel sindaco disse che Ester lo molestava e lei rischiò persino una denuncia. Neppure in quel caso abbiamo protestato. Abbiamo continuato a lavorare, sapendo che le parole pronunciate da chi non ha la minima idea di ciò succede non hanno valore.

La cosa più utile che penso di aver fatto da giornalista, scrivevo nell’incipit, è stato fondare e dirigere per quattro anni Libera Stampa l’Altomilanese. Ma la cosa più bella che mi è capitato di fare in questi anni è parlare di giornalismo libero e lotta alla mafia nelle scuole, perché è lì – soltanto lì – che può nascere una cultura della legalità su basi nuove, fatta di onestà intellettuale, informazione, assunzione di responsabilità e coraggio.

E’ inutile pensare che questa nuova cultura della legalità possa nascere nel mondo della politica e del giornalismo, perché sono mondi corrotti, popolati da mestieranti, mantenuti e laccaculo, gente che non può permettersi di cambiare nulla e che deve anzi difendere, con le unghie e con i denti, un sistema di prebende e favoritismi, giustificato dall’italico motto “tengo famiglia”.

Questa non è la mia opinione. E’ un’istantanea, scattata in presa diretta su ciò che ho potuto osservare in questi anni, prima che nel 2014 arrivasse una ventata di rinnovamento nei nostri municipi, che oggi ci fa sperare che qualcosa, forse, possa cambiare davvero. Per esempio, a Castano Primo non sarebbe successo, in altri tempi, che amministrazione comunale e scuola, insieme, organizzassero corsi sulla legalità per gli stupendi, chiamando gli attivisti della Carovana Antimafia a parlare agli studenti, con il sindaco Giuseppe Pignatiello in prima fila. No, non sarebbe successo. Invece, sabato 30 gennaio, è andata proprio così. Una mattinata bellissima, un’aula magna gremita e l’inizio di un percorso che lascerà una traccia. Importante.

Allora fanno riflettere le parole di Fabrizio Provera, giornalista, che ha pubblicato uno strano articolo su mafia e antimafia (senza saperne nulla, ma questo non è una colpa, anche se è buona regola parlare di ciò che si conosce). Scrive Provera: “Poffarbacco, l’antimafia sale in cattedra. Seriosa, accigliata, col dito puntato. Sale a Castano Primo, in collaborazione con Comune e Istituto Torno, docenti (baby alquanto, ma questa non è una colpa) Erika Innocenti e Daniele Di Sica, che spargono turiboli d’incenso antimafioso dalle pagine della libera stampa (eccerto, gli altri cosa saranno, se quelli liberi sono loro?). Alla giornata conclusiva interverrà persino Alessandra Dolci, sostituto procuratore della Dia di Milano”.

Erika e Daniele, che nel loro tempo libero, da volontari, vanno nelle scuole a parlare di mafia agli studenti meriterebbe un applauso, perché non salgono in cattedra (lasciatelo dire a chi li conosce bene, perché sono entrambi cronisti di Libera Stampa l’Altomilanese) ma raccontano ciò che hanno fatto da cronisti, ciò che hanno studiato sulle carte, ciò che hanno visto nei posti in cui le cose accadono (perché, sembrerà strano a qualcuno, i giornalisti non stanno davanti a Facebook, ma vanno in giro). In un’espressione, vanno nelle scuole a raccontare ciò in cui credono. Una brutta caduta di stile, quella di Provera. Non fosse altro perché il giorno prima dell’incontro al Torno aveva già stabilito che i due giornalisti sarebbero “saliti in cattedra”, avrebbero “puntato il dito”, sarebbero stati “accigliati e seriosi”. Il giorno prima, già sapeva tutto. E il giorno dopo, all’incontro, ovviamente non è andato. Questo la dice lunga sulla sua buona fede.