Il presidente del Consorzio Villoresi, Alessandro Folli, racconta come ha salvato l’azienda dal fallimento: dieci anni fa c’erano 40 dipendenti, tutti pronti a portare i libri in tribunale; oggi i lavoratori sono 140, i bilanci sono in attivo e il Consorzio, che gestisce 4.000 chilometri di sponde e canali, investe 116 milioni di euro. Storia di una società pubblica, che ha smesso di essere un ‘carrozzone’ e vanta l’efficienza delle realtà private

13 DICEMBRE 2016

di Ersilio Mattioni

MILANO – Quando Regione Lombardia lo nomina per la prima volta presidente, siamo alla fine del 2004 e il Consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi è commissariato da dieci anni, durante i quali la già critica situazione è degenerata. Il destino di quest’azienda pubblica, ennesimo ‘carrozzone’ che spreca soldi dei cittadini tra malagestione e inefficienze, sembra segnato. L’ultimo atto, a cui tutti sono rassegnati, è quello di portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento. Alessandro Folli, però, ci crede: non accetta l’incarico per essere il ‘becchino’ del Consorzio Villoresi, bensì per risanarlo. Oggi, dodici anni dopo, l’azienda ha 140 dipendenti (ne aveva 40), ha costruito una diga e 5 centrali idroelettriche. Negli ultimi 5 anni ha investito 116 milioni di euro: interventi di manutenzione, recupero, restauro e valorizzazione degli oltre 4.000 chilometri di sponde e canali. Eppure, di tutto questo, nessuno parla.

Presidente Folli, partiamo dalle origini. Si ricorda il suo primo giorno di lavoro al Consorzio?

“Certo. Mi ricordo che guardai i conti e chiesi sei mesi di tempo. Qui si erano succeduti più commissari, che venivano una volta a settimana per firmare quattro carte. Trovai una situazione incresciosa: quasi nessuno pagava più le bollette (anche perché nessuno esigeva i crediti), i nostri canali erano abbandonati e il personale dell’azienda demotivato. Decisi, per prima cosa, di chiedere i pagamenti arretrati e il 92 per cento degli utenti pagò subito. Era bastata una lettera”.

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In quel momento capì che il Consorzio poteva essere salvato?

“Esattamente. Ci sarebbe voluto tanto impegno e tanto lavoro, ma le premesse erano incoraggianti e io da allora, ogni mattina alle 7, sono in ufficio, un’ora prima dei dipendenti. Sono a disposizione di tutti, alla condizione che tutti lavorino seriamente”.

Quali sono stati gli ostacoli principali da superare, risolto il caso delle bollette?

“Tanti, tantissimi. Ci siamo trovati a gestire un immenso patrimonio: 4.000 chilometri di sponde abbandonate a loro stesse. L’incuria e il degrado avevano preso il sopravvento, sponde rotte e perdite d’acqua. Il canale Villoresi era contaminato dagli scarichi abusivi: ne trovammo 200: come furono scoperti, così furono chiusi”.

Oggi, sulla qualità delle acque, cosa si sente di dire?

“Parlano i dati. Affidammo uno studio all’università statale di Milano. I risultati sono solo da leggere: l’acqua è migliorata e sono ricomparsi pesci che non si vedano più da anni. Per noi è un’enorme soddisfazione, per l’agricoltura e l’ambiente è un enorme vantaggio”.

Sa che in pochi conoscono il Consorzio e le sue funzioni?

“Purtroppo lo so. E’ uno dei nostri grossi limiti. Per quanti sforzi facciamo, non riusciamo a fare capire l’importanza del lavoro che quotidianamente svolgiamo”.

Ha voglia di provare a riassumerlo in qualche battuta?

“Ci provo volentieri. Il Consorzio gestisce le acque, che hanno una duplice funzione: servono all’agricoltura per produrre cibo e servono all’ambiente. In questi anni abbiamo agguantato un traguardo importante: nessun terreno coltivato resterà più senza irrigazione. Questo significa che la produzione è garantita, che la qualità è destinata a crescere e che l’ambiente attorno a noi è salvo. Si tende a dare tutto questo per scontato, ma vi assicuro che dietro c’è un immenso lavoro, frutto di accordi e trattative, con chi detiene il potere politico, con chi decide sul livello del Lago Maggiore e con le autorità svizzere, con le quali stiamo discutendo la realizzazione della Locarno-Venezia, rendendo il Naviglio navigabile”.

Un progetto ambizioso, è davvero possibile oppure se ne parlerà tra vent’anni?

“Non solo è possibile, è già in fase di attuazione. Sarà questo il mio ultimo lavoro al Consorzio. Ho passato i settant’anni ed è ora di lasciare onori e oneri ad altri. Vorrei però congedarmi con questo bellissimo regalo, che dedico ai Comuni del Consorzio, ai miei collaboratori e a tutti quelli che hanno creduto in me”.

Presidente, lei ha attraversato – con ruoli ora politici ora manageriali – la prima e la seconda repubblica, ha militato in partiti di governo, ha gestito assessorati in Provincia e in Regione. Ci spiega come ha fatto a non essere mai neppure sfiorato da uno scandalo?

“Sono l’ultimo di quattro fratelli, l’unico che ha potuto studiare grazie ai sacrifici degli altri. Mio padre ci insegnò il valore dell’onestà, che ho sempre praticato. Tutti possono constatarlo: sto bene, ma non mi sono arricchito in questi anni, come invece è successo ad altri. Anche qui al Consorzio ho allontanato tutti quelli che mi hanno fatto discorsi strani. Non ci vuole poi molto per essere onesti. E’ più semplice farlo che dirlo, basta esserne convinti”.