Intervista alla presidente della Commissione Antimafia di Regione Lombardia, Monica Forte (M5S): “La sentenza di Como è un messaggio forte per politica e istituzioni”

20 APRILE 2019

di Alessandro Boldrini

MILANO – Dal giorno in cui è stata nominata alla guida della Commissione regionale Antimafia, Monica Forte (M5S) non si ferma un attimo. Quando la contattiamo sta salendo in auto, diretta verso uno dei tanti appuntamenti lavorativi di un’agenda fittissima.

“La mafia a Cantù c’è”

Solo poche ore prima, nella mattinata di venerdì 19 aprile, era in aula ad ascoltare la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Como nei confronti dei rampolli del clan Morabito di Cantù. “Questa sentenza – ha dichiarato Forte a Libera Stampa l’Altomilanese – ha confermato quello che era evidente da diversi anni, cioè che a Cantù la mafia c’è. La ‘ndrangheta qui non è solo un fenomeno di passaggio, ma una realtà ben radicata da anni“.

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Il ruolo delle istituzioni

Ma la sentenza di Como, secondo la presidente della Commissione regionale, rappresenta un messaggio chiaro al mondo politico locale. “La politica e le istituzioni – aggiunge – finora hanno minimizzato il problema, parlando di semplici episodi di bullismo. Ma credo che questa sentenza sia soprattutto un messaggio forte per le istituzioni, che deve insegnare a essere più cauti quando si fanno certe dichiarazioni pubbliche, ma anche a saper prendere una posizione più decisa, costituendosi ad esempio parte civile quando necessario“. Il riferimento al Comune di Cantù è chiaro: l’amministrazione di centrodestra alla guida della città, infatti, aveva parlato di episodi di “bullismo paramafioso”, scegliendo quindi di non costituirsi parte civile al processo contro i Morabito Boys, a differenza del ragazzo brutalmente pestato nel 2016 e “lasciato solo in aula”, evidenzia Forte.

“La politica a sostegno dei cittadini”

Per Forte è quindi indispensabile una presa di posizione della politica ed è necessario “dichiarare che le istituzioni sono contro le mafie: ciò rappresenterebbe un messaggio positivo per la società civile, oltre che un segno concreto di sostegno ai cittadini“. Ma non solo: “Ritengo sia sempre più importante organizzare e investire in corsi rivolti alle amministrazioni locali, per facilitare l’individuazione e il riconoscimento di questi fenomeni”.

L’uso della violenza

Altro aspetto importante emerso dal processo di Como, argomenta la presidente dell’Antimafia, è l’uso della violenza da parte delle ‘ndrine. “La linea difensiva di Morabito (Giuseppe, ritenuto il capo dell’organizzazione e condannato a 18 anni di reclusione ndr) ha puntato molto sulla stereotipizzazione della ‘ndrangheta, vista solo come la mafia dei colletti bianchi. Questa sentenza – continua – dimostra invece come si tratti di falsi stereotipi, perché non c’è solo la mafia interessata all’alta finanza, ma anche quella che all’occorrenza, quando serve, usa pestaggi e violenze“.

“Campione d’Italia a rischio infilitrazione”: l’allarme

Ma i tentacoli della ‘ndrangheta, nel Comasco, non si fermano solo a Cantù. “In quel territorio bisogna prestare molta attenzione anche alla situazione di Campione d’Italia, dove il rischio di infiltrazioni mafiose è molto alto”, rivela Forte. La cittadina vive una gravissima crisi dovuta al dissesto finanziario dell’ente, provocato dal fallimento del celebre casinò, che con il suo indotto rappresentava la principale risorsa economica dell’enclave italo-svizzera. “Bisogna tenere alta la guardia – conclude Forte – perché a Campione stanno venendo meno anche i servizi pubblici essenziali e sono proprio le situazioni più disagiate quelle preferite dai clan. Io, personalmente, ho ricevuto alcune segnalazioni di personaggi poco limpidi che si sono offerti per la riqualificazione del paese e mi risulta che, nonostante a maggio ci saranno le elezioni (comunali ndr), al momento non ci sia ancora nessun candidato sindaco“. Un po’ come a San Luca o Platì.