L’ex ergastolano di Inveruno, condannato per omicidio e per la rocambolesca evasione del febbraio 2014, potrebbe essere sottoposto a dei controlli
20 FEBBRAIO 2018
INVERUNO (MILANO) – L’ex ergastolano Mimmo Cutrì è depresso. L’inverunese evaso dal carcere con una spettacolare sparatoria davanti al Tribunale di Gallarate 4 anni fa, il 3 febbraio 2014, non sta bene.
Malattia o ‘bluff’?
Le informazioni che trapelano sono poche e frammentarie, ma sembra che il 35enne Curtrì – negli ultimi tempi – abbia rappresentato ai medici una situazione di disagio e di malessere psicologico. Toccherà ora ai professionisti stabilire la gravità dei sintomi depressivi e, in altre parole, capire se Cutrì sta effettivamente male o se invece sta bluffando. Nel caso in cui la malattia fosse certificata, Cutrì potrebbe uscire dal carcere ed essere preso in cura da un istituto ad hoc. La situazione, ovviamente, è delicata, perché il caso giudiziario è di quelli eclatanti.
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Condannato per omicidio
Cutrì viene condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Novara prima, e dalla Corte d’Assise d’appello di Torino in seconda battuta. I giudici ritengono che il 35enne sia il mandante dell’omicidio di Lukasz Kobrzeniecki, 22enne freddato a colpi di pistola a Trecate nell’estate del 2006: il giovane avrebbe provocato le ire di Cutrì per alcuni apprezzamenti di troppo alla sua fidanzata. Una colpa, questa, da punire con la morte. Il ragazzo viene ucciso in strada: una macchina si affianca e qualcuno spara. Sarà questo elemento, ovvero l’essere il mandante di uno spietato omicidio dai futili motivi, a convincere i giudici a infliggere a Cutrì il massimo della pena. Una condanna mai accettata né dal 35enne ergastolano, né da suo fratello Nino, che orchestra e organizza la rocambolesca evasione davanti al Tribunale di Gallarate.
L’evasione e la nuova sentenza
La fuga, improvvisata, dura solo qualche giorno: Cutrì sarà catturato in un appartamento disabitato in via Villoresi, a Inveruno, a pochi passi da casa sua. Ma è all’indomani dell’evasione che Mimmo Cutrì, incalzato dal pubblico ministero della Procura di Busto Arsizio, Raffaella Zappatini, decide di confessare: ammette di essere l’esecutore del delitto di Trecate, e non il mandante. Un’ammissione clamorosa, che avviene a poche ore dal pronunciamento definitivo della Cassazione sul caso. A quel punto, i giudici della Suprema Corte non hanno scelta, e annullano la sentenza d’ergastolo, rimandando il caso a un’altra sezione della Corte d’Assise. La condanna definitiva sarà di 26 anni di carcere, alla quale si aggiungono i due patteggiamenti per l’evasione. Ora bisognerà appurare le reali condizioni fisiche e psicologiche del 35enne: la depressione potrebbe farlo uscire di prigione prima del previsto.