Ancora un passo. Un altro ancora. Perché i 100 passi fatti da Peppino Impastato non siano stati inutili. “E chi si ferma è colluso”

19 NOVEMBRE 2017

di Francesca Ceriani

MILANO – A Bookcity, manifestazione milanese volta a promuovere la lettura, si parla anche di mafia. A ricordare una delle pagine più buie della storia italiana degli anni ’70 è Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso dalla mafia nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 a Cinisi. “Ancora un passo. Il nostro impegno contro le mafie sulla strada di Peppino” è il titolo dell’evento, durante il quale Giovanni Impastato ha presentato il suo libro “Oltre i cento passi“, edito da Piemme, con le illustrazioni di Vauro.

Per non dimenticare

“Gli volevano togliere la voce, a mio fratello. Ma hanno avuto un pensiero corto, non ci sono riusciti. Da quando Peppino è stato ucciso dalla mafia la sua voce si sente ancora più forte“: pure questo, infatti, è uno degli errori della mafia: pensare corto. Perchè, anche se non era scontato, la voce di Peppino non ha mai smesso di parlare, di lottare. Così inizia il racconto di Giovanni Impastato. E’ la primavera del 1977 quando Peppino, 29enne, insieme ad alcuni amici, fonda ‘Radio Aut’, una radio libera e autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e, soprattutto, in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Tutto questo avviene a Cinisi, feudo del boss Tano Badalamente, e dall’interno di una famiglia mafiosa, quale era la famiglia Impastato, ben inserita negli ambienti mafiosi locali. Peppino scuote la Sicilia, denunciando i reati della mafia e l’omertà dei suoi compaesani. E’ la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 quando viene assassinato: qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l’esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi. Il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea  Palermo-Trapani.

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Le indagini 

In un primo momento Peppino viene fatto passare come un terrorista morto mentre stava preparando un attentato. Peppino, già negli anni ’60 infatti, aveva portato avanti lotte ecologiste e battaglie che, all’epoca, erano considerate rivoluzionarie. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del caso, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli. Due anni dopo, nel 1994, il Centro Impastato presenta un’istanza per riaprire l’inchiesta. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo (collaboratore di giustizia), che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Solo nel dicembre del 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
E solo nel marzo del 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto colpevole Vito Palazzolo (vice di Badalamenti) e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. 24 anni per avere la verità.

‘I cento passi’: il film

“Il film ha fatto conoscere la storia di Peppino in tutto il mondo. Ma bisogna andare oltre. Il film non deve restare su un piano mediatico fine a se stesso”. Peppino, infatti, “non è un’icona, un eroe, un mito. E’ un errore mitizzarlo, renderlo irraggiungibile”, tuona il fratello Giovanni. Peppino deve essere un esempio, per le nuove generazioni, per tutti. “Se ci impegniamo, possiamo cambiarlo questo mondo. Partendo dalle piccole cose, guardandoci attorno, parlando con le persone, obbligandole a non voltarsi dall’altra parte. Questo faceva Peppino. E questo dovremmo fare tutti noi”.