I 500 ‘paperoni’ sono sempre più ricchi. Il loro patrimonio, secondo Bloomberg, sale a 5.300 miliardi di dollari (+23%). Tra gli italiani: Ferrero, Armani e Berlusconi
30 DICEMBRE 2017
NEW YORK – Mentre la popolazione mondiale (dal ceto medio alle classi popolari) soffre la crisi e diventa sempre più povera, i 500 ‘paperoni’ del pianeta sono sempre più ricchi: nel 2017 hanno guadagnato 1.000 miliardi e il loro patrimonio è cresciuto del 23%, superando i 5.300 miliardi di dollari. Lo rivela Bloomberg – la multinazionale americana specializzata in servizi e informazione – stilando la consueta classifica degli uomini più facoltosi del pianeta.
Bill Gates perde lo scettro
Per tre anni ai vertici della classifica, il fondatore di Microsoft, Bill Gates, perde lo scettro per la prima, pur restando in seconda posizione con un patrimonio di 91 miliardi. Meglio di lui fa Mister Amazon, Jeff Bezos, che sfiora i 100 miliardi (99,6 per l’esattezza). Terza piazza per l’investitore americano Warren Buffett (85 miliardi), considerato il più grande ‘value investor’ di sempre. Al quarto posto lo spagnolo Amancio Ortega (75 miliardi), universalmente noto per essere il patron del popolare marchio d’abbigliamento Zara. Dietro di lui, con un patrimonio di 72 miliardi, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.
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Gli italiani
Per trovare il primo italiano bisogna scendere fino alla 33esima posizione, dove si piazza Giovanni Ferrero (Ad dell’omonima industria dolciaria) con 24,2 miliardi, poco sopra Leonardo Del Vecchio (fondatore di Luxottica) con 22 miliardi. Terzo italiano più ricco è Paolo Rocca (Ad di Techint Group) con 9 miliardi, seguito a ruota da Silvio Berlusconi (8,5 miliardi) e Giorgio Armani (8,2).
Ricchezza o speculazione?
Ma stiamo parlando di ricchezza vera (quella che arriva dall’industria e dunque dalla produzione) oppure, più banalmente, si tratta di speculazione finanziaria? Il dubbio è legittimo, perché la crescita dei patrimoni dei ‘paperoni’ mondiali è dovuta, in ottima parte, all’eccellente andamento delle loro società quotate in Borsa, le quali hanno aumentato a dismisura il valore delle azioni, nonostante non vi sia stata crescita sostanziale nella produzione e nel fatturato.