Uno spaccato poco edificante sul mondo della scuola. O meglio, su ciò che questa scuola, gerarchizzata e nelle mani dei presidi, è diventata. Un monolite impenetrabile, dove i successi vengono sbandierati e i problemi trattati come le casalinghe svogliate trattano la polvere, che finisce sotto i tappeti, perché l’importante non è eliminarla, ma evitare che qualcuno la noti

17 GENNAIO 2017

di Ersilio Mattioni

Il destino ci gioca un duro colpo. Nella settimana dell’addio alla carissima Giovanna Noè siamo costretti a raccontare un brutto fatto di cronaca, accaduto nella scuola in cui lei insegnava. Il fatto non la riguarda. Ma quando Francesco Colombo mi presentò – nudi e crudi, senza orpelli – gli incresciosi accadimenti, pensai che avrei telefonato a Giovanna per chiederle, in confidenza, un consiglio e un’opinione, ben sapendo che mi avrebbe detto soltanto quello che si poteva dire e che avrebbe saputo, come sempre, mostrarmi una prospettiva diversa, e privilegiata, da cui osservare, lasciando a me il compito di riflettere e di tirare poi le conclusioni. Invece domenica mattina Giovanna è morta. E non sapremo mai cosa avrebbe pensato della nostra inchiesta, che apre uno spaccato poco edificante sul mondo della scuola. O meglio, su ciò che questa scuola, gerarchizzata e nelle mani dei presidi, è diventata. Un monolite impenetrabile, dove i successi vengono sbandierati e i problemi trattati come le casalinghe svogliate trattano la polvere, che finisce sotto i tappeti, perché l’importante non è eliminarla, ma evitare che qualcuno la noti. Decisamente, non ci siamo. Il caso di Marcallo con Casone è simile a tanti altri, che abbiamo raccontato nel corso di questi anni. Dalla bidella di Corbetta che maltrattava gli alunni alla ragazzina disabile di Legnano, vessata dalle compagne che non la volevano in gita; dalla violenza bullista di due adolescenti di Busto Garolfo contro un ragazza straniera al bimbo autistico di Cuggiono, discriminato e abbandonato a se stesso; dalla studentessa che si ubriaca nei bagni dell’Ipsia di Inveruno ai metodi poco ortodossi delle maestre d’asilo. Intendiamoci, nessuno contesta gli episodi in sé, perché la scuola è fatta di uomini e di problemi, ogni giorno. Si contesta invece l’atteggiamento: negare tutto, lavare i panni sporchi in famiglia, come se i luoghi della pubblica educazione fossero pied-àterre privati, dove le regole si montano e si smontano alla bisogna. E dove è tutto lecito, persino mentire, facendosi scudo dietro l’autonomia scolastica, la privacy dei minori e il segreto professionale. Balle. La verità è che non si ha voglia di rompere i fragili e molto ipocriti equilibri di ambienti spesso malsani, dove comandano stratificate camarille e consorterie della peggior specie. Mafiette all’italiana, un po’ come ovunque. “Su una parete della nostra scuola – disse don Lorenzo Milani – c’è scritto grande ‘I care’. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: Me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista Me ne frego”. A chi sta sa cuore, oggi, nella scuola dell’omertà imperante, l’educazione dei ragazzi?