Nel 2012 finì 3 a zero: tutte le grandi città – Legnano, Abbiategrasso e Magenta – andarono al centrosinistra, Pd e alleati. Dopo 5 anni tutto torna come prima. Incapacità amministrativa dei sindaci ‘dem’ o voto ideologico? Entrambe le cose.Nei comuni si vota anche nel 2018 e nel 2019: avviso di sfratto ai sindaci ‘dem’, che ora devono invertire la rotta
ALTOMILANESE – Nel 2012 finì 3 a zero: tutte le grandi città – Legnano, Abbiategrasso e Magenta – andarono al centrosinistra, Pd e alleati. Dopo 5 anni tutto torna come prima (VEDI I RISULTATI DEFINITIVI). Incapacità amministrativa dei sindaci ‘dem’ o voto ideologico? Entrambe le cose. Se da un lato lo ‘spirito del tempo’ è stato meglio interpretato da Lega Nord e Forza Italia, dall’altro l’impressione è che la classe dirigente del Pd abbia combinato poco, perdendo il feeling coi propri cittadini. Ma c’è anche un altro elemento: il voto condizionato da vecchissime logiche che avevamo dimenticato e che, invece, fanno parte del Dna di certi personaggi che gravitano in orbita centrodestra, in particolare in Forza Italia.
Legnano, il sindaco ‘forestiero’
Nessuno lo avrebbe detto: in una città un po’ ‘snob’ come Legnano, dove a non autoctoni è precluso l’accesso alle alte cariche pubbliche e pure a quelle dell’associazionismo, un uomo come Gianbattista Fratus – leghista moderato, catapultato qui da Castano Primo, suo paese d’origine – non aveva nessuna speranza di vincere. E invece è il nuovo sindaco. Ha sconfitto l’amministrazione uscente Pd, guidata da Alberto Centinaio. Col senno di poi non è una sorpresa, perché Centinaio negli ultimi anni aveva litigato con il suo partito (tiepido, infatti, con la sua ricandidatura) e nei 5 anni di governo non ha scaldato i cuori dei legnanesi. Se ci aggiungiamo il voto ideologico e il centrodestra unito (nel 2012 la Lega aveva rotto la coalizione e aveva corso da sola), allora forse si capisce perché il distacco non incolmabile del primo turno si sia trasformato in una debacle. Ai ‘dem’ legnanesi, molto concentrati su stessi e molto poco sui bisogni della città, l’arduo compito di svolgere una riflessione. Arduo, perché il peggior difetto del ‘renzismo’, ereditato e declinato dai circoli Pd un po’ ovunque in Italia, è la supponenza, accanto all’incapacità di fare autocritica e di ammettere i propri errori.
Abbiategrasso, a un passo dal ‘miracolo’
Domenico Finiguerra, che 5 anni fa con la sua lista civica mancò il ballottaggio per 17 voti, stavolta era in gara. E anche se i punti di distacco dallo sfidante di centrodestra, Cesare Nai, erano più di 16, poteva credere nel ‘miracolo’, perché il suo soggetto politico locale, slegato dai partiti, era votabile da tutti. Invece il ‘miracolo’ si è fermato a 97 voti dal suo compimento (il sito del ministero degli Interni dice 120 voti, ma poco cambia). Peccato, perché Finiguerra se lo sarebbe meritato: rappresentava l’unico cambiamento possibile fuori dagli schemi classici della politica. Nai, però, era un candidato tosto, quel centrodestra moderato e dialogante che non spaventa (ha tenuto a bada la Lega) e anzi rassicura. Anche per questo ha vinto. Come farà a governare, adesso, è tutto da capire, perché dietro di lui si stagliano gli appetiti della vecchia politica, che pretende la sua parte del ‘bottino’. Un dato fa riflettere: una parte del Pd ha votato centrodestra. E forse lo ha fatto perché ad Abbiategrasso, da tempi remoti, il sistema di potere non cambia mai: centrodestra e centrosinistra sono assai simili, qui più che altrove. E trovano sempre un modo per mettersi d’accordo.
Sostieni la Libera Informazione
Sul nostro giornale on line trovi l’informazione libera e coraggiosa, perché noi non abbiamo padroni e non riceviamo finanziamenti pubblici. Da sempre, viviamo soltanto grazie ai nostri lettori e ai nostri inserzionisti. Noi vi offriamo un’informazione libera e gratuita. Voi, se potete, dateci un piccolo aiuto.
Magenta, la debacle del centrosinistra
Che Chiara Calati, alla giuda del centrodestra unito, fosse favorita, beh, era un fatto acclarato. I nostri exit poll, diffusi alle 23 di ieri, la davano tra il 55 e il 60%. E infatti ha preso il 60, sbancando nelle frazioni e vincendo in tutte le sezioni elettorali, comprese le raccoforti ‘rosse’, come il Quartiere Nord. Non c’è stata gara per il sindaco uscente Pd, Marco Invernizzi, che in questi anni si è sforzato di far crescere una politica nuova: niente favori, niente strizzatine d’occhio, niente prebende. Piuttosto, la chiamata dei cittadini alla prova della responsabilità e della condivisione. Velleitario, soprattutto nella nazione dei ‘piagnoni’, che in piazza strillano contro la vecchia politica. Ma poi, se raccattano una mancia, tornano a casa felici e contenti. Il sindaco ‘dem’ ha pure molte colpe: assente dalla città, dai quartieri, dalle frazioni, dei luoghi vivi in cui si respira l’umore degli elettori. Tutte queste cose si pagano. Se poi scende in campo un ‘fuoriclasse’ come l’ex sindaco Luca Del Gobbo, allora la partita è chiusa. Qualcuno dice che, quelle di Del Gobbo, sono pressioni psicologiche sui cittadini. Forse, un po’. Ma senza dubbio c’è anche la stima e la riconoscenza per un sindaco che ha governato 10 anni (2002-2012) con risultati assai apprezzabili.
Avviso di sfratto
L’anno prossimo, nell’Altomilanese, si vota a Bareggio. Qui governa il Pd. Come pure a Invernuno, Castano Primo, Arconate e Busto Garolfo, dove si va alle urne nel 2019. I sindaci sono avvisati: il centrodestra, con il ‘cappotto’ di questa tornata elettorale, ha fatto loro pervenire un avviso di sfratto. Meno politica ‘romana’, meno ‘tavoli’, meno ‘strategie’ e più fatti, più impegno e più ascolto dei cittadini. Se le amministrazioni di centrosinistra non invertiranno la rotta, cadranno una dopo l’altra. Inesorabilmente.