I tre giudici sull’ex senatore: “si attivò per manipolare le prove”, la difesa: “mi aspetto archiviazione”

di Ersilio Mattioni

“Da quando ha avuto conoscenza delle indagini a suo carico, si è attivato per manipolare gli elementi di prova, intervenendo sugli altri soggetti coinvolti nell’intera vicenda per nascondere le proprie responsabilità”. Sono pesanti le parole che i giudici del Tribunale del Riesame di Milano utilizzano per descrivere il comportamento dell’ex vicegovernatore della Lombardia, Mario Mantovani. Quest’ultimo, avuto notizia di un’indagine a suo carico nel 2014 dopo la perquisizione dello studio dell’architetto Gianluca Parotti, avrebbe cercato secondo i giudici sia di alterare le prove sia di concordare le testimonianze di altri indagati. Questa è la ragione per cui il Tribunale del Riesame decise lo scorso 3 novembre di respingere la richiesta di arresti domiciliari avanzata da Mantovani tramite il suo legale, l’avvocato Roberto Lassini. Richiesta poi accolta dal Gip il 23 novembre solo dopo parere favorevole del Pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Giovani Polizzi, che ha spiegato che è più facile controllare il politico a casa sua piuttosto che in carcere, dove si è assistito a “una pletora di parlamentari” che venivano a trovare l’arrestato e tornavano anche due o tre volte. E tutto ciò “al di fuori del controllo dell’autorità giudiziaria”. In effetti a trovare in prigione l’ex sindaco di Arconate, indagato per corruzione, concussione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio, sono andati sia il deputato Luca Squeri (due volte) sia il senatore Sante Zuffada (tre visite), entrambi di Forza Italia. Palese la preoccupazione della Procura, perché tra l’altro i parlamentari non sono mai intercettabili. Altro punto toccato dalla sentenza del Riesame, sul tema della custodia cautelare e su altro: “Le misure non custodiali e gli stessi arresti domiciliari consentirebbero all’indagato, che ha mantenuto un rilevante ruolo politico ed istituzionale all’interno della giunta regionale lombarda, di riprendere i contatti finalizzati alla ripresa, anche indiretta, dell’attività volta a piegare l’azione pubblica a fini privati”. Di più, secondo il collegio presieduto da Paolo Micara, Mantovani sarebbe un “soggetto a cui è attribuito un ruolo politico e istituzionale di notevole spessore, che si è dimostrato in grado di piegare le sue funzioni pubbliche a fini personali, interferendo a vantaggio proprio e degli uomini a lui vicini, nei settori della sanità regionale e delle opere pubbliche e infrastrutturali”. Nonostante tutto, l’ex vicegovernatore lombardo, in una recente intervista rilasciata a ‘Lettera43’, continua a professarsi innocente e crede che le accuse contro di lui possano già cadere in sede di udienza preliminare con un’archiviazione, che manderebbe il politico prosciolto e boccerebbe l’intero impianto accusatorio della Procura. E se invece il Gip disponesse il rinvio a giudizio? Mantovani non ha dubbi: sarebbe “un’altra sconfitta della giustizia”. Tornando al Riesame, benché anomalo che un tribunale si spinga fino a questo punto con le motivazioni, le parole scritte nero su bianco sono dure nei confronti del politico indagato. E sono forse il frutto del materiale che il Pm ha fornito ai giudici in contrapposizione alle memorie difensive, evidentemente poco efficaci. Il Pubblico ministero, per sostenere il pericolo di inquinamento delle prove da parte di Mantovani, ha citato due incontri. Il primo fra Mantovani, il suo assistente Giacomo Di Capua (arrestato e poi mandato ai domicliari) e l’architetto Parotti (indagato per corruzione), proprio nei giorni della perquesizione della Guardia di finanza nello studio del professionista. Il secondo si svolge invece a Gattinara, in Piemonte, dove vive l’assistente di Mantovani. In quella sede il politico non c’è: ci sono invece sua moglie e suo figlio, oltre all’architetto Parotti. Anche in quella circostanza si parla dell’inchiesta: è lo stesso Parotti, di ritorno dal meeting, a raccontarlo al telefono alla sua compagna, lamentandosi del fatto di non essere stato pagato per i lavori svolti e lamentandosi pure della soluzione che gli sarebbe stata proposta, quella cioè di dire che l’architetto avrebbe lavorato gratis e in amicizia. Naturalmente tutti questi elementi, ampiamente sufficienti per le decisioni che competono ai giudici del Riesame, dovranno poi essere approfonditi in aula, se l’accusa vuole dimostrare la fondatezza delle sue tesi. In aula, davanti al Gip, dove andrà in scena la prima battaglia fra il Pm e gli avvocati della difesa, con ogni probabilità all’inizio del 2016.