I fratelli Rocco e Luigi Schiavone, dopo un omicidio commesso nel 2009 a Bari, fuggono a Inveruno (nel Milanese), dove si nascondono per tre giorni. Un mistero avvolge la loro permanenza in città

1 APRILE 2019

di Alessandro Boldrini

INVERUNO (MILANO) – Secondo la leggenda, nel 1412, i tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso partono da Toledo alla volta del Sud Italia, dove fondano le tre mafie: Cosa nostra in Sicilia, la camorra in Campania e la ‘ndrangheta in Calabria. 569 anni più tardi, nella notte di Natale del 1981, nasce in Puglia la cosiddetta ‘quarta mafia’: la Sacra corona unita.

La nascita della ‘Scu’

E nasce su concessione del capobastone Umberto Bellocco, calabrese di Rosarno (Reggio Calabria), che permette a un suo affiliato, Giuseppe Rogoli – detto Pino – di fondare all’interno del carcere di Trani la prima ‘ndrina della neonata mafia pugliese. Anche se formalmente nasce come appendice della ‘ndrangheta, la ‘Scu’ non è però da sottovalutare. Anzi. Nel corso degli anni, infatti, la criminalità organizzata pugliese è diventata sempre più forte e spietata, portando i propri affari anche fuori dai confini del Tacco d’Italia.

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L’omicidio

Lo dimostra ad esempio l’omicidio del 43enne Nunzio Mazzilli, alias Testone, freddato il 26 giugno 2009 fuori da un circolo ricreativo di Capurso, in provincia di Bari. Ed è proprio questo omicidio ‘illustre’ a legare la Sacra corona unita al nostro territorio, e nello specifico a Inveruno, 8.500 abitanti a Nord di Milano. Perché è qui che i fratelli Luigi e Rocco Schiavone – che insieme a Francesco Serafino e Gaetano Moschetti compongono il commando di fuoco che uccide Mazzilli – entrambi affiliati al clan Di Cosola, si rifugiano subito dopo l’omicidio.

La condanna

A rivelarlo sono i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presieduta da Antonella Patrizia Mazzei), che lo scorso 22 gennaio hanno rigettato l’ultimo ricorso presentato dai legali del 33enne Luigi Schiavone. Gli ermellini hanno infatti confermato la sentenza emessa il 24 febbraio 2016 dal Gup del Tribunale di Bari, Giovanni Abbattista, che aveva inflitto quattro condanne a vent’anni di carcere per concorso in omicidio volontario, detenzione e porto di armi, aggravati dal metodo mafioso.

Le motivazioni della sentenza

“Tutti i delitti – scrivono i supremi giudici – sono stati accertati in Capurso il 26 giugno 2009 e sono stati commessi avvalendosi della forza d’intimidazione e delle condizioni di assoggettamento e di omertà derivanti dall’appartenenza all’associazione di tipo mafioso, denominata ‘clan Di Cosola’, e comunque allo scopo di agevolarne le attività criminose”.

La faida tra clan

Secondo quanto ricostruito dai Carabinieri durante le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bari, l’omicidio di Mazzilli sarebbe infatti avvenuto nell’ambito della faida scoppiata tra i clan Di Cosola e Stramaglia per il controllo delle attività illecite nell’hinterland barese. Testone, nello specifico, sarebbe stato punito per il suo presunto doppiogiochismo, frequentando allo stesso tempo sia i Di Cosola sia gli Stramaglia. L’omicidio è efferato: il commando agisce compatto, Mazzilli viene crivellato di colpi e poi finito con un colpo alla tempia. Dopo quegli attimi concitati, però, le strade dei quattro killer si separano.

La fuga al Nord

I fratelli Rocco e Luigi Schiavone, infatti, fuggono in auto e, oltre 900 chilometri dopo, fanno tappa a Inveruno. Qui rimangono per tre giorni, fino a quando Moschetti – calmate le acque – li richiama, invitandoli a rientrare a Bari il 29 giugno. Ma è a questo punto che affiorano i primi dubbi. Perché i due Schiavone si fermano proprio a Inveruno? Cosa fanno per tre giorni in città? E dove soggiornano? Affittano un albergo o godono di un appoggio logistico e vengono ospitati da qualcuno? Tutte domande a cui neanche gli inquirenti sono riusciti a trovare una risposta.

I dubbi

Quel che è certo – perché lo conferma l’analisi delle celle telefoniche – è che i due killer della Sacra corona unita, poche ore dopo l’assassinio di Mazzilli, puntano dritti alla cittadina dell’Altomilanese, che forse rappresenta per loro un porto sicuro dove rifugiarsi quando il mare è in tempesta. Un mistero destinato a rimanere senza risposta.