Gianna Beretta Molla, Il business degli oggetti sacri, i bilanci della Fondazione, il turismo religioso e il mistero dei soldi spesi per la beatificazione

di Ersilio Mattioni

MAGENTA-MESERO (MILANO) – Il vero miracolo è la velocità. Gianna Beretta Molla (4 ottobre 1922 – 28 aprile 1962) diventa prima beata e poi santa a tempo di record. Il processo canonizzazione comincia il 6 novembre 1972, il 6 luglio del 1991 viene resa venerabile, il 24 aprile del 1994 è beata come “madre di famiglia” e dieci anni dopo, il 16 maggio del 2004, papa Giovanni Paolo II la proclama santa. Più o meno lo stesso tempo di Padre Pio.

Nel 1961, verso il termine del secondo mese della quarta gravidanza, Gianna è colpita da un fibroma all’utero, un tumore benigno. Prima dell’intervento operatorio di asportazione del fibroma, pur rimanendo consapevole dei rischi e dei danni che potrebbero insorgere durante la gravidanza, chiede al chirurgo di salvare la vita che porta in grembo, anche a scapito della sua. Il 21 aprile 1962, presso l’Ospedale di Monza, partorisce Gianna Emanuela.

Dopo qualche ora dal parto le condizioni generali di Gianna si aggravano e peggiorano di giorno in giorno, nonostante le cure. Muore il 28 aprile, a 39 anni, nella sua casa di Pontenuovo di Magenta. Una scelta estrema, quella di Gianna Beretta Molla.

La dottoressa magentina con ambulatorio pediatrico nel paesino di Mesero è già madre di tre figli (avuti da Pietro Molla, ingegnere e direttore generale di una delle fabbriche più grandi del territorio, la Saffa), quando decide di correre un rischio alto, pur di portare a termine la gravidanza. Altre donne hanno fatto la stessa cosa, senza diventare sante.

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Di famiglia borghese, conduce una vita esemplare. Emerge dai racconti di chi l’ha conosciuta, sempre pronta ad aiutare, a dedicare il proprio tempo agli altri. Con un piccolo neo. Una donna, ancora vivente e residente a Mesero, lo dice solo dietro la garanzia dell’anonimato: “Gianna si rifiutò di prestarmi le sue cure, perché non avevo soldi per pagarla”.

Ma è sui miracoli della Beretta Molla che fioccano i dubbi. Ne servono due per diventare prima beata e poi santa. Quanto al primo, esiste soltanto qualche testimonianza di donne che avrebbero portato a termine una gravidanza difficile rivolgendo alla Beretta Molla le proprie preghiere. Pochino, per la verità. Il secondo miracolo, invece, avverrebbe in Brasile. Una madre di tre figli, Elisabete Comparini Arcolino, giunge alla quarta gravidanza nel novembre del 1999. Dopo un inizio già difficile, l’11 febbraio del 2000, si verifica un evento drammatico: si rompono le membrane, con la conseguente perdita totale del liquido amniotico.

I medici consigliano l’interruzione della gravidanza, per il rischio di infezione cui sono esposti sia la madre sia la bambina, ma Elisabete non accetta, dopo essersi consultata con il marito Carlo Cesar e con il vescovo diocesano monsignor Diogenes Silva Matthes. E’ proprio il monsignore a portarle una biografia della Beretta Molla. La donna brasiliana risponde che chiamerà Gianna la nascitura, cominciando a pregare per ottenere l’intercessione dell’allora beata.

Il 31 maggio del 2000, alla trentaduesima settimana, viene alla luce con parto cesareo Gianna Maria. Pesa milleottocento grammi e, in seguito, presenta un normale sviluppo psicofisico. Ha corso un grosso rischio, la giovane madre brasiliana. E per fortuna, come in altri casi, è andato tutto bene. Ma si tratta davvero di un miracolo?

Eppure, nonostante l’inconsistenza dei due presunti prodigi, il processo di canonizzazione di Gianna Beretta Molla non incontra ostacoli. Corre spedito come un treno e giunge in fretta alla sua conclusione. Troppo in fretta. Tanto da chiedersi come ciò sia possibile.

Ma la famiglia della santa non è una famiglia qualsiasi. E’ molto benestante: Gianna, che nasce nel 1922, può studiare e diventare medico negli anni ‘40, un privilegio riservato ai soli ricchi. La famiglia Beretta Molla lo è: trascorre le vacanze a Courmayeur (mentre la grande maggioranza delle persone, a quei tempi, non si muove da casa), vanta personale di servizio e donne delle pulizie in villa, può permettersi un tenore di vita fuori dal comune.

Non è una colpa, per carità. Ma è più facile, in questa condizione, fare del bene. Ed è anche più facile, perché si ha più tempo a disposizione, frequentare gli ambienti religiosi, conoscere le persone influenti, stabilire i giusti contatti.

E negli anni ‘40 la famiglia Beretta Molla, nel clero, ha già messo più di un piede. Gianna ha nove fratelli, tutti più grandi, tre dei quali sono religiosi: Alberto (medico missionario cappuccino), Giuseppe (sacerdote ingegnere nella diocesi di Bergamo, oggi monsignore) e Virginia (medico e suora canossiana).

Sarebbe ingeneroso affermare che Gianna Beretta Molla è una santa ‘raccomandata’. Ma le sue condizioni di partenza e le entrature della sua famiglia non sono di certo state un ostacolo lungo l’impervio cammino che conduce alla santità.

Anche perché diventare santi costa. E ogni tanto c’è il sospetto che più paghi e più alte sono le possibilità di riuscita. Il dubbio è venuto pure a papa Francesco. Il pontefice ha deciso di indagare sui conti delle cause di beatificazione e di canonizzazione, chiedendo un report per il 31 agosto 2013. Alla data stabilita però sul suo tavolo non è arrivato niente.

Allora Bergoglio, che non è tipo da arrendersi, ha aperto un’inchiesta interna. E in Vaticano qualcuno trema, perché i conti non sempre tornano. Sotto indagine è finita la cosiddetta ‘fabbrica dei santi’. Un esercito sotto il regno di Giovanni Paolo II: 1338 beati in 147 riti di beatificazione e 482 santi in 51 celebrazioni. Fra loro c’è anche Gianna Beretta Molla.

Una cifra impressionante che supera quella dei beati e dei santi proclamati dalla Chiesa dalla sua fondazione fino all’avvento di Karol Wojtyla. L’obiettivo del papa polacco era tuttavia chiaro: istituire un fondo per le “cause povere”, che andò via via scomparendo, per evitare che solo i ricchi e influenti potessero realizzare il proprio obiettivo, cioè vedere il proprio caro elevato alla gloria degli altari.

Perché il fondo delle “cause povere” non ha funzionato? E oggi che fine ha fatto? È proprio questo il sospetto dal pontefice che ha deciso di andare a fondo, nonostante l’opposizione del cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione per le cause dei santi.

Intanto, qualche cifra utile per inquadrare il tema. Se è vero che ogni causa di beatificazione fa storia a sé, è altrettanto vero che le spese vive di una canonizzazione completa si aggirano intorno ai 15.000 euro. La cifra comprende sia i diritti della Santa Sede sia i compensi dei medici, dei teologi e dei vescovi che studiano le cause, esprimendo alla fine un parere di fatto vincolante.

A questa somma però bisogna aggiungere molto altro, fra cui il lavoro del postulatore e dei ricercatori, oltre alla stampa dei volumi e tutti gli allestimenti per la cerimonia. Durante questi passaggi il costo lievita in modo impressionante. Alla fine si spende, nella migliore delle ipotesi, fra i 100.000 e i 150.000 euro. Anche se nel caso del processo della beatificazione, nel 2007, di Antonio Rosmini si è raggiunta la cifra record di 750.000.

Chi può permetterselo? Torniamo a bomba, chi è ricco oppure chi vanta entrature nel clero. Quanto è stato speso dalla famiglia Beretta Molla per la causa di beatificazione e per quella di santificazione della cara Gianna? Inoltre, chi ha speso la cifra necessaria? Cosa, di preciso, è stato fatto?

I soldi sembrano essere il tallone d’Achille dei personaggi e degli enti che ruotano attorno a Santa Gianna. Nel settembre 2013, su Libera Stampa l’Altomilanese, compare il primo sulla Beretta Molla: si chiedono spiegazioni, fra l’altro, dei conti della Fondazione Beata Gianna Beretta Molla Onlus e dell’associazione Amici di Santa Gianna.

La famiglia reagisce stizzita. L’ex capogruppo Udc al comune di Magenta, Francesco Bigogno, presidente della citata associazione, convoca una conferenza stampa per mostrare il bilancio della sua ‘creatura’ e per leggere una lunga lettera della figlia della santa, Gianna Emanuela. Ma i dubbi non vengono fugati. Il bilancio dell’associazione somiglia al brogliaccio della bocciofila: è un foglio di carta con stampate le cifre, entrate e uscite. Nulla di ufficiale.

Stessa cosa può dirsi per i bilanci della Fondazione, di cui è a lungo presidente monsignor Giuseppe Beretta, fratello di Gianna (dopo la sua morte il timone passa a uno dei figli della santa). L’Associazione di Bigogno dichiara (anno 2012) 9.016,53 euro di entrate e la stessa cifra in uscite. Il grosso viene dalle offerte dei devoti che fanno visita ai luoghi della santa e poi comprano un gadget ricordo (5.000 euro circa), dalle quote associative (210 soci per un totale di 2.110 euro) e da non meglio specificati “contributi vari” (2.100 euro).

Contributi di chi? Non è dato sapere. Per quanto riguarda la Fondazione, invece, ci viene comunicato quanto segue: “26.368 euro di entrate nel 2012 e 22.313 euro di uscite. Le entrate sono rappresentate dalle offerte (periodico ‘Gianna sorriso di Dio’, libri, immaginette e altro materiale biografico); le uscite sono rappresentate fondamentalmente dalla stampa e la spedizione in 11.000 copie del periodico, dalle donazioni all’orfanotrofio in Argentina intitolato a Santa Gianna e dal sito internet”.

Fin qui le autodichiarazioni. Quello che non si capisce, però, è la portata di quello che i cittadini chiamano il “business santa Gianna”, cioè il mercato di santini, rosari, statuette, bracciali, libri e cartoline, oggetti ‘sacri’ che vanno a comporre ricche bancarelle nel santuario della famiglia Beretta Molla a Mesero e in diverse chiese a Magenta. “Siamo a completa disposizione – fa sapere Gianna Emanuela Molla – per chi volesse prendere visione personalmente del bilancio”.

Parole, perché se presentate, come noi abbiamo fatto tre volte, una richiesta formale di visionare e avere copia del documento contabile, verrete ignorati. Di più, verrete diffidati, tramite l’avvocato della Fondazione, dal pubblicare e diffondere articoli sulla santa (com’è successo ai giornali si ‘Libera Stampa l’Altomilanese’).

La Fondazione Beata Gianna Beretta Molla nasce il 19 maggio del 1999 e dopo due mesi, un altro record, già ottiene il riconoscimento ufficiale da Regione Lombardia. Fondata da Pietro Molla (marito della santa) e da monsignor Giuseppe Beretta, fratello di Gianna, “la Fondazione – si legge sul sito web ufficiale – non ha fine di lucro e persegue esclusivamente lo scopo di onorare, perpetuare e diffondere la memoria, l’esempio, la testimonianza e la spiritualità della dottoressa Gianna Beretta Molla, che Sua Santità Giovanni Paolo II ha proclamato beata, come ‘madre di famiglia’, il 24 aprile 1994, e santa il 16 maggio 2004”.

Il 3 aprile 2000 Pietro Molla muore, ma la presidenza della Fondazione resta in famiglia e passa a monsignor Beretta. Anche nel consiglio d’amministrazione siedono i parenti di Gianna: Pierluigi, Laura e Gianna Emanuela Molla, figli della santa, suor Virginia Beretta, sorella della santa, e un consigliere su designazione dell’arcivescovo di Milano.

Nel cda compare poi Giuseppe Pannuti, 50enne nativo di Reggio Calabria e marito di Laura Molla. La Fondazione vanta tre sedi: quella legale nel cuore del capoluogo lombardo, in via della Moscova; l’archivio storico a Mesero in via Monte Rosa; gli uffici della presidenza a San Vigilio in provincia di Bergamo, dove vive monsignor Beretta.

“Per chi desidera fare un’offerta alla Fondazione, a sostegno del periodico ‘Gianna, sorriso di Dio’ e alle altre opere – fanno sapere i familiari della santa – questi sono i riferimenti”. Seguono, con assoluta precisione, banca, Iban e pure un conto corrente postale. Ma cosa fa, di preciso, la Fondazione? Quanti soldi incassa ogni anno? Come li spende? Chi li gestisce? Queste informazioni non sono pubbliche.

E poi ci sono le incongruenze. Sul sito web della Fondazione si legge che lo scopo sarebbe quello di “onorare la memoria di Santa Gianna”, mentre sulla visura camerale c’è scritto altro: “Operare nei campi della pedagogia familiare, per il rispetto, l’accoglienza, l’aiuto alla vita fin dal suo concepimento”, nonché “dell’assistenza medico-sanitaria dei bambini e degli anziani”. Unico dato disponibile, il patrimonio sociale: 104.000 euro. Dei bilanci non c’è traccia. E, come già detto, è inutile chiederli.

Chi insiste nell’avventurarsi dentro il “business santa Gianna” e dentro i presunti miracoli si becca una scomunica dal pulpito in grande stile. Il 30 settembre 2013 il parroco di Mesero, don Giorgio Fantoni, tuona: “Diffidate dall’acquistare quel giornalaccio, l’Altomilanese, un giornale di menzogna, diffamazione e falsità sulla nostra amata Santa Gianna Beretta Molla. Impegniamoci tutti a non comprarlo più, è l’unica soluzione, dobbiamo farlo finalmente decadere e morire”.

E’ un’impresa titanica – che espone al pubblico dileggio, alle lettere anonime e persino agli insulti – mettere in dubbio la santità di Gianna Beretta Molla. A Magenta, nell’ottobre 2011, l’amministrazione Pdl-Lega, sostenuta anche dall’Udc di Bigogno, il presidente dell’associazione Amici di Santa Gianna, decide di montare alcuni cartelli in onore della santa all’ingresso della città. Stessa cosa avviene a Mesero, dove il santuario è più segnalato del municipio.

E’ il cosiddetto ‘turismo religioso’, a tutto beneficio della famiglia Beretta Molla. Una famiglia dalla canonizzazione facile. Per il fratello di Gianna, Alberto (missionario cappuccino in Brasile per quarant’anni,) è iniziato nel 2012 il processo di canonizzazione. Come quella della sorella, anche la sua è stata definita “una vita eroica ed esemplare”. Scommettiamo che prima o poi diventa santo? Mancano i miracoli, è vero. Ma è solo questione di tempo.

(Hanno collaborato: Erika Innocenti, Arianna Timeto)