L’incendio di fine giugno all’ex Guinness Pub non è un fatto di cronaca. E’ un fatto di mafia. Sia perché il locale nel 2014 aveva già subito un assalto da esponenti vicini a una famiglia di ‘ndrangheta sia perché le inchieste giudiziarie di questi anni raccontano una città dove le dinamiche mafiose sono penetrate, in punta di piedi e in mezzo all’indifferenza della politica e dei cittadini: pizzo, racket, usura, recupero crediti, traffico di droga e un patto tra consorterie criminali. Benvenuti nella città della Battaglia

2 LUGLIO 2016

di Ersilio Mattioni

MAGENTA (MILANO) – L’incendio di fine giugno alla Celtic House, che tutti conoscono come Guinness Pub, non è un fatto di cronaca. E’ un fatto di mafia. Lo è perché il locale, due anni e mezzo fa, aveva già subito un assalto: un ‘commando’ di trenta uomini venuti da Bareggio, agli ordini di Rocco Mongiardo, spaccò i vetri del pub a colpi di mazze da baseball per ‘vendicare’ l’amico e compare Franco Rigoli, allontanato dalla Celtic House dopo pesanti apprezzamenti su una cameriera.

Le denunce e le indagini a un punto morto

Partirono le denunce, perché i titolari del locale sono persone perbene, imprenditori che vogliono lavorare e che, se qualcosa non funziona, si rivolgono alle forze dell’ordine. Così hanno fatto anche stavolta, dopo l’incendio. Nel 2014 le indagini non portarono a nulla di rilevante, l’auspicio è che oggi possano arrivare a risultati significativi. Non solo nell’identificazione dei responsabili, quanto piuttosto nel portare alla luce le dinamiche mafiose che sembrano regolare i rapporti d’affari in città, dove chi non piega la testa, prima o poi, viene punito.

Sostieni la Libera Informazione


Sul nostro giornale on line trovi l’informazione libera e coraggiosa, perché noi non abbiamo padroni e non riceviamo finanziamenti pubblici. Da sempre, viviamo soltanto grazie ai nostri lettori e ai nostri inserzionisti. Noi vi offriamo un’informazione libera e gratuita. Voi, se potete, dateci un piccolo aiuto.

Le inchieste sulle cosche mafiose

Ecco perché è sbagliato parlare, banalmente, di assalto o di incendio. Il termine giusto è un altro: intimidazione mafiosa, minacce targate ‘ndrangheta. Nelle carte delle inchieste del 2012 e del 2014 sui rapporti tra politica e criminalità organizzata nel nostro territorio, del resto, emergono con chiarezza alcuni elementi, che in tanti (da una certa politica a un certo giornalismo compiacente) si ostinano a negare. Emerge, per esempio, che la cosca Di Grillo-Mancuso praticava estorsioni sui commercianti di Magenta e dintorni, faceva prestiti a usura e si dedicava al recupero crediti forzoso. Per averlo scritto, un consigliere comunale di Forza Italia ci mise alla berlina (ipotizzando il reato di procurato allarme) durante una riunione del parlamentino locale. E non ci fu un solo consigliere – di destra, di centro o di sinistra – che si alzò per difendere il lavoro, sempre documentato, dei nostri cronisti sulle infiltrazioni della mafia. Ignoranza, malafede, disinteresse?

Il traffico della droga

Nelle carte di un’altra inchiesta del 2016 sul traffico di droga nel Magentino emergono esponenti di spicco della famiglia mafiosa dei Musitano di Bareggio coi loro ‘cavallini’, sparsi nei nostri comuni a vendere la droga ai ragazzi. Controllano il traffico degli stupefacenti; entrano ed escono dalle prigioni; stringono patti criminali (come quello mafia-’ndrangheta tra Bareggio, Magenta e Corbetta) per il dominio del territorio. E possono farlo anche grazie ai silenzi complici di chi sa e non dice, di chi sa e non denuncia. Allora smettiamola di far finta di credere che un incendio sia solo un incendio. La mafia mette le mani sulla città. Lo fa in punta di piedi. E noi stiamo lì, a guardare.