Il Centro Psico Sociale di Magenta ospita all’incirca 6.000 persone affette da malattie mentali più o meno gravi, e tra queste sono guarite in breve tempo soprattutto coloro che si sono rivolte al servizio il prima possibile. Il personale offre assistenza valutando le situazioni individuali dei pazienti, per poter aiutare ciascuno ad affrontare al meglio il disagio. La dottoressa Mina: “Fondamentale il contatto con il territorio”

4 MAGGIO 2016

di Graziano Masperi e Lucrezia Orvi

MAGENTA (MILANO) – Dai casi più lievi a quelli gravi. Quelli che impediscono di avere una vita normale. Che distruggono l’esistenza della persona colpita da malattia mentale e dei suoi familiari. Sono circa 6.000 le persone prese in carico dal Centro Psico Sociale di Magenta. Un numero che, all’apparenza potrebbe sembrare enorme e gettare un certo allarme. Ma che, guardato da vicino, non fa altro che rispecchiare un principio fondamentale. Ovvero che prevenire è meglio che curare. Di queste 6.000 persone la stragrande maggioranza hanno sconfitto il proprio disagio in poco tempo perché si sono accorte subito che qualcosa non andava. In altri casi la situazione è più complessa. Il territorio di riferimento è piuttosto vasto e comprende il magentino, da Robecco sul Naviglio fino a Bareggio e, andando verso nord, arriva fino a Mesero.

I pazienti

Chi sono i pazienti in cura al Cps? C’è una leggera prevalenza per le donne. Per il resto non esiste differenza di ceto sociale, età, istruzione o altro. Chiunque può esserne colpito. A cominciare dagli adolescenti. “E’ proprio sui giovani che investiamo le maggiori risorse, sia dal punto di vista economico che professionale – spiega il dottor Gian Carlo Belloni, responsabile dell’Unità Operativa di Psichiatria a Magenta – quando un ragazzo comincia ad isolarsi manifestando i primi problemi è fondamentale intervenire”.

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L’assistenza e la cura

Ma come si entra al Cps? Inutile dire che lo stigma sociale è ancora presente. Ed è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a definirlo “un gravissimo ostacolo che impedisce la buona prosecuzione del trattamento”. Ed è inutile nascondere che dei casi di persone che si sono tolte la vita negli ultimi anni nel magentino la maggior parte erano in cura al Cps. Ma questo non vuole dire nulla. Le malattie mentali sono sconfinate e possono prendere chiunque. Il lutto di una persona cara può gettarci in depressione, solo per fare un esempio. Naturalmente non tutti si rivolgono al Cps, ma alcuni lo fanno. Ed è una buona cosa rivolgersi a degli specialisti. Al Cps di Magenta ci sono 5 medici, ma ci sono anche educatori e personale infermieristico. Il dottor Belloni spiega i diversi modi per accedere al servizio: “Si può passare dal medico di medicina generale o un qualunque altro medico che ci invia il paziente. Abbiamo poi l’assunzione in cura e la presa in carico che è l’intervento più complesso e riguarda le situazioni più gravi. Al di là della diagnosi che possiamo fare la cosa che conta è la situazione che il paziente vive. Ad esempio la persona che arriva da noi può avere delle difficoltà così gravi che gli impediscono di lavorare e vivere. Per queste persone viene approntato il cosiddetto piano di trattamento individuale, strumento che fa parte della cartella clinica”. Il medico afferma che i farmaci restano la base per poter stabilizzare il paziente. “Abbiamo la necessità che la persona si riappropri delle sue facoltà. Se non c’è la partecipazione del paziente qualsiasi processo di riabilitazione può rivelarsi inutile”.

La parola all’esperta

Secondo la dottoressa Giuliana Mina, che del Cps di Magenta è la responsabile, il contatto con il territorio è fondamentale. Solo così è possibile garantire una buona riabilitazione al cosiddetto paziente stabilizzato. “Il contatto con il territorio – afferma il medico – darà la possibilità alla persona in cura di riappropriarsi della propria vita e del suo mondo”. Ricorda l’esperienza positiva di un gruppo di pazienti invitati dalle scuole materne del magentino. “In quell’occasione mostrarono i loro lavori relativi alle cialde del caffè”, afferma la dottoressa. “A seconda dei bisogni del paziente si agisce di conseguenza – continua – Per questo motivo abbiamo le associazioni dei famigliari. I parenti stretti subiscono un trauma non indifferente nel vedere la persona che amano soffrire per una malattia mentale. C’è poi la figura del medico di medicina generale e il ruolo, sempre fondamentale, dei Comuni”. Una volta al mese tutte queste figure si riuniscono per fare il punto della situazione. Naturalmente non sempre le cose vanno come si vorrebbe. Vengono segnalate numerose problematiche.

La nuova vita sociale

Le cure non sempre portano al risultato desiderato. Il reinserimento nel tessuto sociale a volte è problematico e il paziente resta chiuso nella sua solitudine. A volte, tutto viene sentito come un’imposizione. Il CPS di Magenta dispone del relativo centro diurno e ci sono anche le comunità residenziali. Ci sono alcuni posti letto al piano superiore del Cps e appartamenti dislocati sul territorio che vengono messi a disposizione dei pazienti a seconda del percorso terapeutico che stanno seguendo. C’è poi il ruolo delle cooperative, anch’esse un punto di riferimento importante per il reinserimento lavorativo. “Anni fa eravamo in grado di garantire il reinserimento lavorativo dei pazienti e di seguirlo con attenzione mantenendo uno stretto contatto anche con il datore di lavoro – afferma il dottor Belloni – Oggi tutto questo è impossibile per cause non dipendenti dalla nostra volontà”.

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