Fine pena mai anche per l’allevatore bernatese Leonardo Prestia, volto noto al mercato settimanale di Cuggiono, nel Milanese. La Suprema Corte fa luce sull’omicidio di Rocco Stagno, uno dei più efferati delitti della ‘ndrangheta trapiantata al Nord

4 NOVEMBRE 2019

di Alessandro Boldrini

BERNATE TICINO (MILANO) – Il 29 marzo del 2010 il 53enne calabrese Rocco Stagno viene ucciso con tre colpi di pistola, di cui l’ultimo in pieno volto. Il suo cadavere viene poi seppellito in mezzo a un bosco. Parliamo di un efferato omicidio di ‘ndrangheta. Avvenuto non in Calabria, ma a Bernate Ticino, profondo Nord. Omicidio su cui hanno fatto luce i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano tramite l’inchiesta Bagliore, dalla quale è poi scaturito un lungo processo terminato giovedì 24 ottobre 2019 davanti alla quinta sezione penale della Corte di Cassazione con cinque ergastoli per altrettanti imputati originari della provincia di Vibo Valentia.

Le ricerche del cadavere di Rocco Stagno a Bernate

Le condanne

Gli ermellini, per quell’omicidio, hanno inflitto il carcere a vita ai fratelli Rocco (58 anni) e Francesco Cristello (50), originari di San Giovanni Mileto; Massimiliano Zanchin (45), di Cessaniti; Claudio Formica (55) di Mileto; Leonardo Dino Prestia (46), anche lui di Cessaniti, ma da anni residente a Bernate, dove gestisce un’azienda agricola e lavora come venditore ambulante al mercato di Cuggiono. 12 anni per associazione mafiosa sono stati invece inflitti a Domenico Tedesco, 37 anni, originario di Guardavalle (Catanzaro) e già assolto in secondo grado dall’accusa di concorso nell’omicidio Stagno. Annullata con rinvio, infine, la condanna del 46enne Francesco Elia di San Giovanni Mileto, la cui posizione dovrà essere ridiscussa da una nuova sezione della Corte d’Appello di Milano. Per la Suprema Corte, dunque, l’allevatore ha partecipato attivamente all’uccisione di Stagno, consumata proprio nella cascina di Bernate. Una morte apparsa misteriosa fin dall’inizio per gli inquirenti.

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Le rivelazioni di un pentito

Sono le 8.45 del 29 marzo di nove anni fa quando Zi’ Rocco, all’epoca 53enne, nato a Monterosso Calabro ma residente in Brianza, saluta sua moglie, Carmela Coppola, ed esce di casa. La donna, due giorni più tardi, si presenta dai Carabinieri di Varedo e denuncia la scomparsa del marito. Coppola lascia trasparire la preoccupazione per il possibile suicidio dell’uomo, ma i militari non credono a questa versione e indagano sulle telefonate fatte da Stagno. Una chiamata lo colloca nei pressi della cascina di Prestia. La svolta nelle indagini arriva quando il boss Antonino Belnome, ex padrino della Locale di Giussano, inizia a collaborare con la giustizia. Secondo il pentito – le cui dichiarazioni vennero definite da Prestia in esclusiva ai nostri microfoni “cazzate” e “illazioni inventate per incastrare degli innocenti”, ma ritenute attendibili dai magistrati – l’omicidio sarebbe stato organizzato da Rocco Cristello per un regolamento di conti interno a una faida di ‘ndrangheta, iniziata il 27 marzo del 2008 con l’omicidio di un omonimo Rocco Cristello, freddato con 19 colpi di pistola fuori dalla sua abitazione a Verano Brianza. Secondo i familiari della vittima, i mandanti di quell’assassinio sarebbero stati proprio gli Stagno, un tempo loro alleati.

Anatomia di un delitto

Dunque, per vendicarne la morte, i cugini della vittima, Rocco e Francesco Cristello, pianificano insieme agli altri imputati l’omicidio di Rocco Stagno del marzo 2010. Quel giorno Stagno si reca alla cascina di Bernate per comprare dei capretti in vista della Pasqua. Ad accoglierlo c’è Dino Prestia, che lo intrattiene portandolo in un bar della zona, prima di avvisare i sui complici. Nel frattempo, mentre i due sono fuori, alla cascina di Bernate arrivano anche Rocco Cristello e Formica, che si nascondono in un capanno. Dieci minuti più tardi fanno il loro ingresso Belnome e Tedesco, subito dopo entra il padrone di casa accompagnato da Stagno. Elia e Francesco Cristello, invece, non entrano nella cascina di Bernate. All’arrivo di Stagno, Rocco Cristello esce dal nascondiglio e consuma la sua vendetta, sparando tre colpi e colpendo la vittima in pieno volto, sfigurandolo. Dopo l’omicidio, Prestia pulisce il sangue con una canna dell’acqua, carica il corpo sulla benna di una ruspa e si allontana per nascondere il cadavere nei boschi del Ticino. Al suo ritorno, brucia i documenti di Stagno, mentre Rocco Cristello e Formica si liberano dell’auto della vittima, ritrovata dopo tre mesi in via Fratelli Bandiera ad Abbiategrasso. Secondo Belnome, per quell’omicidio Prestia è stato premiato con una delle più importanti doti di ‘ndrangheta: la Santa, primo grado della Società maggiore nella gerarchia mafiosa calabrese.

Uno stralcio dei verbali dell’interrogatorio del pentito Belnome