“Ti devi prendere tutti i suoi clienti, altrimenti lo ammazzo”. E’ una delle tante telefonate intercettate dalla Direzione distrettuale antimafia. Chili di ‘coca’ dal Sudamerica

24 GENNAIO 2018

di Attilio Mattioni

BUCCINASCO-CORSICO (MILANO) – “Ti devi prendere tutti i suoi clienti! Altrimenti lo ammazzo”. Così il presunto boss della ‘ndrangheta calabrese, Graziano Barbaro, trapiantato a Corsico, si rivolgeva a un suo sottoposto, invitandolo a riprendersi i consumatori di droga che si rifornivano da uno spacciatore di una banda rivale.

Gli arresti

C’è da rabbrividire leggendo le intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate dagli uomini della Guardia di Finanza di Milano, che hanno condotto l’operazione che ha portato in carcere, nella notte tra martedì 23 e mercoledì 24 gennaio, otto persone, tutte legate alla criminalità organizzata. In un crescendo di terrore e violenza, non solo verbale, i capi della ‘ndrangheta fanno capire in modo chiaro che il traffico e lo spaccio di droga nell’hinterland nord-ovest di Milano è ‘cosa loro’.

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“La droga non manca mai”

“Lo sai che a me non manca mai la cosa (la droga, ndr)”: così, sempre Graziano Barbaro, scriveva in un sms a uno spacciatore che chiedeva notizie su un carico di stupefacenti. A comandare, nel triangolo compreso tra Corsico, Buccinasco e Assago, è la famiglia dei Barbaro-Papalia, originaria di Platì, in Calabria. E sono tutti affiliati a quella famiglia, che fa capo a Rosario Barbaro, 77 anni, detto ‘U Rosi’, gli arrestati: i due capi, Graziano e Antonio Barbaro (che sono cognati, avendo Antonio sposato una sorella di Graziano), Gianfranco Iiritano, Vincenzo Romeo, Massimilano Mussa e Saverio Pisano, tutti accusati di traffico internazionale di droga. In manette sono finiti sono finiti anche Gianpietro Catona e Alessandro Di Terlizzi Miracoli, titolare di un’agenzia di pompe funebri a Buccinasco, accusati solo di spaccio.

I boss invisibili

I boss controllano il territorio rimanendo quasi invisibili, cercano di non uscire mai allo scoperto. Non reagiscono in maniera plateale neppure quando, nella notte del 30 marzo del 2013, qualcuno spara una serie di colpi di pistola contro il ‘Baretto’ di Corsico. Quel locale è di proprietà di Graziano Barbaro, e la sparatoria suscita l’interesse dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano, all’epoca coordinata da Ilda Boccassini e oggi guidata dal Alessandra Dolci, che decidono di metterlo sotto sorveglianza.

Il ‘Baretto’ e i summit mafiosi

Il ‘Baretto’ si rivela essere il vero centro nevralgico dell’attività dei Barbaro-Papalia. Lì si svolgono veri e propri summit tra presunti boss mafiosi, come quello tra i due Barbaro e Domenico Papalia, figlio del boss Giuseppe Papalia, o quello tra Graziano Barbaro e Carlo Zacco, figlio del boss palermitano Antonino. Al centro degli incontri e delle conversazioni c’è sempre la droga: un vero e proprio fiume di stupefacenti. La cosca gestiva una vera e propria filiera della droga ed era in grado di importare chili di cocaina e altre sostanze dal Sudamerica, facendole transitare attraverso i canali più impensati (Spagna e Olanda, ma anche Bulgaria) per poi spacciarla nel lucroso mercato dell’hinterland milanese.

Le armi

Durante le perquisizioni ordinate dal Giudice per le indagini preliminari Alfonsa Ferraro, che ha anche firmato gli ordini di custodia cautelare in carcere per gli otto arrestati, sono stati trovati fucili, pistole, moto rubate, e una pressa industriale utilizzata per confezionare i panetti di cocaina. I Barbaro-Papalia, secondo gli investigatori, erano in procinto di espandere ulteriormente la loro attività: recentemente avevano ordinato un ingente quantitativo di coca proveniente dal Brasile. Prima della droga sono però arrivati gli uomini della Guardia di Finanza che gli hanno fatto scattare le manette ai polsi.