L’avvocato Parisi porta in tribunale sindaco e capo dell’ufficio tecnico. “Via Espinasse non è a norma: è questa la causa dell’incidente mortale che ha coinvolto Riccardo Bona”. La famiglia chiede 5 milioni al Comune.

di Ersilio Mattioni

MAGENTA (MILANO) – “Se fossero state rispettate le distanze previste dal Codice della strada e se i pali dell’illuminazione fossero stati collocati, come prevedeva il progetto originario, sul lato opposto dalla strada, Riccardo Bona avrebbe avuto la possibilità di scampare all’urto e forse oggi sarebbe vivo”. Lo sostiene l’avvocato Annalisa Parisi, coadiuvata da un consulente, l’architetto Davide Fagnani, nell’atto di integrazione alla denuncia-querela pendente presso la Procura di Milano, dove i magistrati indagano sulla morte del 18enne dopo l’incidente in moto, avvenuto in via Espinasse a Magenta il 19 ottobre 2020.

Via Espinasse a Magenta

Riccardo Bona, deceduto in un incidente in moto

L’avvocato Parisi e il suo stretto collaboratore Manuel Oldani, che rappresentano la famiglia Bona, hanno svolto un minuzioso lavoro. Lavoro che comprende sia la ricostruzione dei fatti sia lo studio delle norme, deducendo una serie di irregolarità nella realizzazione della pista ciclabile di via Espinasse. Irregolarità che sarebbero costate la vita al giovane Riccardo. Per questo il Comune di Magenta, oltre a rispondere penalmente dell’accaduto, è stato citato civilmente per il risarcimento del danno. Il prossimo 2 luglio il sindaco Chiara Calati e il capo dell’ufficio tecnico (individuati come legali rappresentati, ma entrambi estranei ai fatti) dovranno comparire all’udienza di mediazione in tribunale a Milano. La famiglia Bona chiede 5 milioni di euro. Cifra imponente ma più che comprensibile a fronte dalla morte di un figlio. Se le parti non troveranno un accordo, avrà inizio anche il processo civile.

La pista ciclabile di via Espinasse

Al centro dell’inchiesta c’è, come detto, la pista ciclabile di via Espinasse. Riccardo, quel giorno, perse il controllo della moto e scivolò contro il cordolo dell’aiuola spartitraffico, urtando successivamente un palo dell’illuminazione pubblica. Secondo l’avvocato Parisi qui ci sarebbe la prima violazione alle norme. “Nelle strade urbane con velocità inferiore a 70 chilometri – spiega il legale, citando una normativa europea – la distanza dei pali della luce dal bordo esterno del marciapiede dev’essere di 50 centimetri”. In questo caso, invece, la distanza era minore.

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Via Espinasse non ha sistemi di protezione passiva

“L’intento del legislatore – aggiunge Parisi – non è certamente estetico, perché quella distanza serve appunto per evitare ciò che è successo a Riccardo”. Va poi considerato che via Espinasse è priva “di sistemi di protezione passiva” e che “esiste un preciso obbligo, da parte dei proprietari delle strade (in questo caso, il Comune di Magenta, ndr), circa la loro messa in sicurezza”. Invece “a fronte di pali apposti a distanze irregolari non sono state erette barriere o protezioni di alcun tipo, che il progettista ha l’obbligo di predisporre”.

I pali dell’illuminazione

Ma l’aspetto più inquietante della ciclabile di via Espinasse è un altro. I pali dell’illuminazione pubblica avrebbero dovuto essere posati sul lato opposto rispetto a dove si trovano oggi. Lo si deduce con chiarezza dal progetto originario: “Il Piano di illuminazione del Comune – aggiunge il legale della famiglia Bona – non lascia dubbi a riguardo. In base a quel Piano, i pali della luce avrebbero dovuto essere collocati dalla parte opposta. Ma nella pratica ciò che è stato realizzato non corrisponde a ciò che prevedeva il progetto”. Conclusione agghiacciante: “Se il Comune, per il tramite dell’ufficio tecnico, avesse fatto rispettare quantomeno il progetto, Riccardo Bona non si sarebbe trovato alcun palo della luce contro cui urtare e l’evento (cioè l’esito mortale dell’incidente, ndr) non si sarebbe verificato”. L’avvocato Parisi non ha dubbi: “Nel caso di specie ricorrono tutti gli elementi idonei a configurare il reato di omicidio colposo”.