Nel libro ‘Se chiudi ti compro’ (Editore Guerini e Associati) Paola De Micheli, Alberto Misiani e Stefano Imbruglia parlano anche di Giovanni ‘Albertino’ Marcora. A lungo sindaco di Inveruno, nel Milanese, partigiano cattolico e senatore della repubblica, fondò la corrente ‘di base’ della Democrazia Cristiana e fu per due volte ministro. Stimato in Europa per impegno e concretezza, fece approvare leggi importanti su agricoltura e lavoro. Una di queste – che consente ai dipendenti di comprare la loro azienda, se fallisce – salvò 14.000 posti. E funziona ancora oggi
30 LUGLIO 2017
INVERUNO (MILANO) – Si può parlare di Giovanni ‘Albertino’ Marcora come di un politico dimenticato? Forse qui, nell’Altomilanese e dintorni, in particolare a Inveruno, dove è nato, vissuto e morto ad appena 60 anni e dove è stato a lungo sindaco, no; ma se appena ne varchiamo i confini, certamente sì. Ed è un peccato, oltre che un errore, perché a Marcora si devono alcune buone leggi – buone ed efficaci, anche oggi, trent’anni dopo – e comportamenti politici di una concretezza da riscoprire.
Un politico concreto
Non ripercorriamo le tappe della sua vita pubblica (da militare di leva a partigiano dopo l’8 settembre del 1943 a militante nella Democrazia Cristiana, fondatore della ‘sinistra di base’ a Milano, modelli Enrico Mattei e Aldo Moro), che lo vide protagonista in provincia ma che solo con Moro Presidente del Consiglio nel 1974 divenne ministro dell’Agricoltura e in sei anni lasciò in Italia e soprattutto in Europa un segno incancellabile. In Italia il primo piano agricolo-alimentare (legge 984 del 27 dicembre 1977, nota come ‘Quadrifoglio’), che affidava alle regioni la responsabilità dell’intervento diretto e lasciava all’amministrazione centrale dello Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento, ma soprattutto ridava dignità e diritti al lavoro agricolo. In Europa portò le prime serie discussioni (eufemismo) condotte come una battaglia a difesa dell’agricoltura del sud d’Europa con gli euroburocrati spesso costretti ad arrendersi alla forza delle sue argomentazione (e del suo carattere indomabile). Sostituito da Arnaldo Forlani nel bel mezzo della sua campagna in Europa (sconcerto di quegli stessi euroburocrati, ormai abituati anche alla sua concretezza e competenza), fu Giovanni Spadolini a nominarlo (1980-81) di nuovo ministro, all’Industria.
Sostieni la Libera Informazione
Sul nostro giornale on line trovi l’informazione libera e coraggiosa, perché noi non abbiamo padroni e non riceviamo finanziamenti pubblici. Da sempre, viviamo soltanto grazie ai nostri lettori e ai nostri inserzionisti. Noi vi offriamo un’informazione libera e gratuita. Voi, se potete, dateci un piccolo aiuto.
Salvare il lavoro
Qui c’è il motivo della sua riscoperta: un libro che parla di Wbo, ossia Worker Buyout, che tradotto ‘alla carlona’ significa ‘dipendenti che comprano la loro azienda’, spesso in fallimento. E come? Con l’aiuto della legge 49 del 1983 (che parte dal 1985), detta ancora oggi ‘legge Marcora’. Erano anche quelli anni in cui c’erano i fallimenti, le chiusure improvvise e a volte immotivate, i licenziamenti totali senza preavvisi. La legge si chiama ‘Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione’ e istituisce un fondo di rotazione per finanziare progetti presentati da cooperative, accanto a un fondo statale speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli occupazionali: anche se in fallimento o in concordato preventivo, presentando un piano industriale e con risorse iniziali anche modeste, i dipendenti potevano contare sul sostegno pubblico costituendosi in cooperativa. Da allora la legge ha subito aggiornamenti e aggiustamenti e soprattutto è ritornata di attualità a partire dalla crisi che ha colpito l’Italia così ferocemente. Uno strumento non utilizzabile su vasta scala, perché richiede condizioni economiche e doti personali non comuni, ma soprattutto per le piccole e medie imprese un toccasana.
‘Se chiudi ti compro’
A raccontare la vita e le opere di trent’anni della legge Marcora si sono messi in tre: un sottosegretario (donna), un politico Pd, un giornalista: Paola De Micheli, Alberto Misiani e Stefano Imbruglia. Titolo del libro: ‘Se chiudi ti compro’, editore ‘Guerini e Associati’. Sono raccontate dieci storie a mo’ di esempio dove operai e dirigenti non si sono arresi alla cassa integrazione, alla crisi economica e alla chiusura. Si sono messi in gioco, hanno investito soldi (anche di tasca propria, risparmi e anticipi di Tfr e di cassa integrazione), si sono ridotti gli stipendi e hanno salvato le aziende per cui lavoravano, cercando di non ripetere gli errori degli ex datori di lavoro. Come la Scalvenzi in provincia di Brescia, la Cartiera Pirinoli di Roccavione. E ancora, dall’Industria Plastica Toscana, rinata grazie al green, alla Tecnos, che oggi sta provando a conquistare il mercato americano.
Se una legge è buona
La legge Marcora nel 1985 ha inventato il ‘workers buyout’, fornendo una serie di agevolazioni per la rigenerazione di aziende in crisi; in trent’anni sono stati salvati oltre 14.000 posti di lavoro. Una vera ‘politica attiva’ del lavoro, diversa dai tanti salvataggi di aziende decotte costati molto (troppo) alle casse pubbliche. Prende vita l’operosa e pragmatica provincia italiana e le nostre piccole e medie imprese, dove è più semplice, rispetto alle grandi, trovare la coesione e l’identità di vedute che sono fondamentali per la rigenerazione. Citiamo i dati della CFI, Cooperazione Finanza Impresa, una società partecipata dal Ministero per lo sviluppo economico (amichevolmente detto Mise): dicono che in trent’anni dalla legge Marcora sono state finanziate 370 imprese, salvando oltre 14.000 posti di lavoro con un investimento complessivo di poco superiore a 200 milioni di euro e un ritorno largamente positivo per le casse dello Stato. Oggi il numero di lavoratori impegnato in questo tipo di imprese è di 7.627 e la sopravvivenza delle imprese è stata dell’80 per cento: non male vero?
Un esempio, una speranza
Oggi rileggere il nome di Giovanni ‘Albertino’ Marcora – giustamente abbinato a una storia finalmente positiva di legge che ancora aiuta a risorgere donne, uomini e aziende a trent’anni dalla sua nascita – riempie di orgoglio chi l’ha conosciuto e stimato. E induce anche a un po’ di fiducia nel futuro: sarà possibile un’altra stagione di impegno politico e sociale da parte di tutti i protagonisti di questa bistrattata, sfortunata e anche un po’ colpevole nazione?