Cécile Kyenge, ex ministro ed europarlamentare Pd, parla di ‘Ius soli’ a Vittuone, nel Milanese. Poi lancia una provocazione: ” I nostri smartphone sono fatti con il coltan, un minerale rarissimo estratto nelle miniere del Congo, lavato a mano e trasportarlo da bambini sotto i 12 anni. Se non vogliamo i migranti, buttiamo il cellulare”
25 NOVEMBRE 2017
VITTUONE (MILANO) – Di ‘Ius soli’ se ne parla da mesi. Spesso strumentalizzando l’argomento e, altrettanto spesso, senza cognizione di causa. Innanzitutto il significato etimologico: l’espressione deriva dal latino e significa ‘diritto di suolo’. Lo ‘Ius soli puro’, come quello applicato negli Stati Uniti e in Argentina, prevede l’acquisizione automatica della cittadinanza per tutti coloro i quali nascono in quel territorio. La proposta avanzata in Italia, invece, è quella di uno ‘Ius soli temperato’, con cui l’acquisizione della cittadinanza non avverrebbe in modo automatico, scongiurando quindi il rischio che il nostro Paese diventi una ‘sala parto’, ma rispettando alcuni criteri. Quali? Li ha spiegati l’europarlamentare ed ministro Cécile Kyenge venerdì scorso all’incontro organizzato dai circoli del Partito democratico di Vittuone, Corbetta e Magenta. “Le condizioni sono semplice – ha esordito Kyenge – Almeno uno dei due genitori deve essere in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, acquisito con l’essere residente in Italia da almeno 5 anni, o un permesso di soggiorno permanente. Poi una condizione culturale (Ius culturae, ndr) per chi arriva in Italia entro il compimento dei 12 anni: aver frequentato almeno 5 anni di scuola italiana e aver completato un ciclo scolastico”. C’è speranza anche per chi arriva nel nostro Paese entro i 18 anni: può acquisire la cittadinanza se vi risiede da almeno 6 anni e se ha completato un ciclo scolastico conseguendo il titolo finale. La legge sullo ‘Ius soli’ riguarderebbe oltre 800 mila bambini che, pur essendo nati in Italia, non sono cittadini italiani.
La legge attuale
Attualmente chi è nato in Italia può richiedere la cittadinanza tra i 18 e i 19 anni, con una ‘dichiarazione di volontà’. Chi perde questa finestra temporale, può presentare la stessa domanda alla Prefettura ma in quest’ultimo caso, oltre a essere nato in Italia, ci sono altri due requisiti da rispettare: quello di essere legalmente residente nel nostro Paese da 3 anni e un requisito reddituale (possedere un reddito non inferiore a 8.500 euro all’anno). La tempistica per il trattamento della domanda è 730 giorni. “Molti si sono persi – commenta Kyenge – e in Italia oltre 120.000 giovani non sono riusciti ad ottenere la cittadinanza. L’identità di una persona, però, non si forma a 18 anni. Si forma molto prima e noi dobbiamo lavorare sui primi anni d’età”.
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Fenomeno globale
Il dibattito sullo ‘Ius soli’ è una delle numerose conseguenze del fenomeno migratorio che si sta verificando a livello globale. L’europarlamentare ha fornito qualche dato: “Sono 250 milioni le persone che si muovono nel mondo. 60 milioni sono profughi. Solo il 14% viene accolto dall’Europa”. Dati alla mano, quindi, non si sembrerebbe esserci un’emergenza in corso. Eppure è così che viene percepito: “Manca un piano di integrazione serio, che preveda un’integrazione a doppio senso – commenta Kyenge – I territori vanno preparati ad accogliere, bisogna dare le informazioni corrette, bisogna preparare le persone che arrivano. Questa situazione è iniziata 20 anni fa e il clima di paura che c’è ora è il frutto di 20 anni di politiche di terrore e di strumentalizzazione”. Il fenomeno migratorio è un “fenomeno globale, che non si fermerà. Possiamo solo gestirlo – continua l’europarlamentare del Pd – e lo dobbiamo fare da un punto di vista umano. La nostra priorità è salvare vite umane. Se lo ‘Ius soli’ non dovesse passare avremo comunque fatto un percorso culturale: dietro a tanti cambiamenti, in Italia e in Europa, c’è il Partito democratico. Prima nessuno parlava di cittadinanza, ora se ne parla, nel bene e nel male: è stato abbattuto il muro dell’indifferenza. La riforma sulla cittadinanza è il più grande strumento di integrazione. Avere diritti implica avere dei doveri”.
Una provocazione
Infine una provocazione: “Non volete più accogliere i migranti? Allora buttate via i vostri cellulari!”. I nostri smartphone, quelli che tutti teniamo in tasca o nella borsetta, sono fatti con il coltan, un minerale rarissimo estratto nelle miniere del Congo, controllate dai signori della guerra. A estrarlo sono gli uomini, a lavarlo a mano e a trasportarlo sono donne e bambini sotto i 12 anni, che spesso camminano per giorni nelle foreste con 30 chili sulle spalle per giungere al mediatore più vicino. Un vero e proprio business che, secondo l’Onu, avrebbe causato la morte di 11 milioni di persone. “Questo esempio – conclude Kyenge di fronte a una platea interessata e attenta – per farvi rendere conto che nessuno di noi è estraneo a quello che sta succedendo. Siamo interdipendenti. Non è mandando via gli immigranti che si risolve la situazione, ma prevedendo regole umane, che mettono la persona al centro”.