Nel vademecum del WWF intitolato “Un mare di ragioni per un mare di sì” vengono forniti 10 dati di fatto che rispondono a 10 luoghi comuni, spesso utilizzati dagli oppositori del referendum contro le trivelle e contro le lobby del petrolio. Ricordiamo che si vota domenica 17 aprile, dalle 7 alle 23

15 APRILE 2016

di Ersilio Mattioni

ROMA – le oltre 100 Oasi protette dal WWF si sono dichiarate “Drills Free Area”, cioè aree senza trivelle. Ed è proprio da queste oasi che parte l’appello a votare sì al referendum di domenica 17 aprile. Le urne sono aperte dalle 7 alle 23. Di seguito elenchiamo i 10 motivi per andare a votare e scegliere il “sì”.

1. La bufala del quesito troppo tecnico

Si ripete da mesi che il quesito è troppo tecnico e difficile da capire. Ci si chiede se chi sostiene queste cose l’abbia letto, perché il referendum è di una semplicità disarmante: si chiede agli italiani se le trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalle coste debbano finire alla scadenza delle convenzioni oppure se le aziende possano continuare a trovellare anche in assenza di convenzioni con lo Stato, finché il giacimento è attivo. Una cosa del genere non succede in nessuna parte al mondo.

2. Il voto è inutile? Affatto, è vero il contrario

Non è vero, come si ripete da mesi, che il voto sia inutile. Se vincono i ‘no’ o se il referendum fallisce per mancanza di quorum, le concessioni a 88 piattaforme saranno automaticamente prorogate, facendo un mega regalo ad aziende e lobby che non intendono smantellare le piattaforme.

Sostieni la Libera Informazione


Sul nostro giornale on line trovi l’informazione libera e coraggiosa, perché noi non abbiamo padroni e non riceviamo finanziamenti pubblici. Da sempre, viviamo soltanto grazie ai nostri lettori e ai nostri inserzionisti. Noi vi offriamo un’informazione libera e gratuita. Voi, se potete, dateci un piccolo aiuto.

3. Non ci sono rischi per l’ambiente? Parliamone

Il 47,7% delle piattaforme per l`estrazione di gas e petrolio (42 su un totale di 88) entro la fascia delle 12 miglia sono state costruite prima del 1986, in assenza di una legge che valuta l’impatto ambientale. Quindi queste 42 trivelle non sono mai sottoposte a una valutazione di impatto sull’ambiente: 40 di queste piattaforme sono in Adriatico, 26 delle quali davanti alla costa romagnola.

4 . Nessun rischio di incidente? Bugia clamorosa

Questa è forse la bugie più clamorosa raccontata dagli anti-referendari: dal 1955 a oggi ci sono stati 573 incidenti, il più importante è quella della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon che ha provocato danni ambientali pari a 20 miliardi di dollari. Di incidenti, insomma, ce ne sono stati molti e con conseguenze devastanti sia sull’ambiente sia sulla salute.

5. Le attività di estrazione non inquinano? Magari

Le più avanzate ricerche geo-sismiche hanno dimostrato che ‘esplosioni’ provocano danni permanenti ai cetacei, in alcuni caso ne determinano la morte. (fonte: ISPRA, istituto di ricerca del Ministero dell`Ambiente). Inoltre, nella fase di estrazione, possono generarsi fenomeni di subsidenza, con abbassamento dei fondali ed erosione delle spiagge. Infine, vengono usate sostanze pericolose o tossiche contenute nelle ‘acque di produzione’ e nei ‘fanghi perforanti’. Chi racconta che le estrazioni non inquinano è un incosciente.

6. Lo Stato ci guadagna? No, ci perde

Sembra incredibile, ma in virtù dei vecchi accordi (che potrebbero essere rinegoziati se vince il ‘sì’) solo 8 aziende su un totale di 69 concessioni rilasciate pagano le ‘royalty’ del 7% sul petrolio estratto allo Stato e alle Regioni. Gli altri non pagano nulla.

7. L’occupazione e il ricatto dei posti di lavoro

Un’altra bufala pazzesca. Gli ultimi dati Istat dicono che nel 2015 si sono perduti 10.000 posti di lavoro nel settore delle trivellazioni. Ma questo potrebbe essere dovuto alla crisi. Invece quello che accade in Basilicata (regione che produce il 70% del petrolio italiano e il 20% del gas) è incredibile. Qui ci sono soltanto 1.600 le persone occupate nel settore dell’estrazione degli idrocarburi e 2.400 persone che lavorano grazie all’indotto. Il vero problema, sul quale tutti tacciono, è però un altro: le attività estrattive stanno uccidendo il vero business della Basilicata, mettendo a rischio 47.000 aziende turistiche costiere e oltre 60.000 posti di lavoro nella pesca.

8. L’inquinamento da idrocarburi

In questo caso ci sono le analisi e gli studi medici inconfutabili: le sostanza prodotte a regime sono pericolose o tossiche. Gli idrocarburi contenuti nel greggio hanno effetti cancerogeni e mutageni. L’inquinamento chimico ha effetti mortali a lungo termine o immediati sulla fauna marina.

9. Le scelte della politica a favore delle lobby

E’ dal 1988 che in Italia non viene più preso in mano il Piano Energetico Nazionale. Oltre alla fallimentare strategia energetica pro-fossili del 2013 (che non ha dato un solo risultato), all’inizio del 2016 il governo Renzi ha cancellato il Piano delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che doveva essere sottoposto, per la prima volta, alla Valutazione ambientale strategica (la cosiddetta Vas). Risultato: le lobby, che finanziano da sempre governi di destra e sinistra, continua a fare ciò che vogliono in un incredibile regime di deregulation.

10. Fonti fossili fondamentali? Sì, per 7 settimane

Secondo le stime più recenti, le riserve di petrolio individuate in mare potrebbero coprire il fabbisogno energetico nazionale per 7 settimane al massimo. Le fonti fossili, per l’Italia, sono dunque residuali: paghiamo un prezzo altissimo in inquinamento e rischi per la salute, ma non ne ricaviamo assolutamente nulla. Al contrario, con le energie rinnovabili (e con adeguati investimenti) potremmo arrivare a coprire il 90% del nostro fabbisogno.