I secessionisti degli Anni Ottanta fecero irruzione a Montecitorio al grido ‘Roma ladrona’. Poi si guardarono attorno e si accomodarono alla buvette. Adesso ci chiedono di andare a votare, come se non fosse successo nulla, come se questa sciagurata nazione non fosse stata governata anche da loro, dai ‘padani’. Allora, prima di tutto, dovrebbero chiederci scusa

24 AGOSTO 2017

di Ersilio Mattioni

MILANO – E’ vero, le cose sarebbero dovute andare in modo diverso. Invece gli scandali, i diamanti, le lauree finte – in generale, tutte le ‘gaglioffate’ tipiche della casta – hanno distrutto le aspettative di quella che un tempo si chiamava Lega Lombarda. E che aveva un popolo, disposto a combattere per raggiungere la propria autonomia.

Oggi invece, per volare nei sondaggi, il Carroccio ha dovuto cambiare mission: da partito secessionista che difendeva il Nord produttivo a forza nazionalista che va pure a Napoli a cercare i voti anti immigrati, spesso eccitando gli istinti peggiori degli italiani. E per farlo non ci vuole molto impegno. Peccato, perché l’indipendentismo è una cosa seria, che può essere declinato in tanti modi, compresi quelli soft e democratici per rivendicare la sacrosanta autonomia di gestire i propri soldi.

Non proprio bruscolini, dal momento che i lombardi generano una ricchezza pari a cinquanta miliardi di euro l’anno. Eppure, dall’unità d’Italia a oggi, il ritornello è sempre lo stesso: il Nord paga, il resto della nazione consuma e spreca. In mezzo, uno Stato vessatore che alle origini della Repubblica consegnò il Sud nelle mani della criminalità organizzata in cambio dei voti alle elezioni. Non sappiamo se arriverà mai il giorno in cui qualcuno si prenderà la briga di scrivere la storia del Belpaese con un briciolo di onestà intellettuale, precisando che il vero cancro di questa nazione si chiama Democrazia Cristiana.

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Nell’attesa, ci tocca assistere impotenti al solito trucchetto: con la scusa della solidarietà nazionale si saccheggia la Padania per pompare denaro sano nelle casse malatissime dell’assistenzialismo meridionale. Che è fatto unicamente di clientele, privilegi e logiche mafiose. Non sperate di sentirvi dire queste cose da Matteo Salvini, che gira l’Italia al motto di ‘Mandiamo via i negri’, raccattando tutti i voti possibile, compresi quelli del ‘ventre molle’. Ma così facendo la Lega, con gli interessi del Nord produttivo, non c’entra più nulla.

Eppure un ultimo sussulto esiste: il referendum sulla Lombardia e sul Veneto autonomi. Che di primo acchito sembra una goliardata (e in parte, senza dubbio, lo è), ma che, analizzato a fondo, possiede uno specifico valore politico. Se per esempio il prossimo autunno i lombardi e i veneti andassero a votare in massa e scegliessero il ‘sì’, allora il governo di Roma avrebbe un problema. E non potrebbe liquidare, come finora ha fatto, le istanze delle popolazioni più produttive del Paese con un’alzata di spalle. Del resto, pure quello sulla ‘Brexit’ era un quesito consultivo.

Il tema però è anche un altro: abbiamo una classe dirigente all’altezza della sfida? Viene in mente la Catalunya, dove il popolo conquistò democraticamente un’autonomia sempre crescente. Lì c’era Jordi Pujol, leader del partito autonomista e presidente della Regione dal 1980 al 2003. Un politico d’altri tempi, che non si fece sedurre dalle lusinghe del potere e non accettò mai di candidarsi al parlamento di Madrid, convinto che il suo compito fosse quello di restare nella sua terra, perché solo così avrebbe portato a termine la lotta per la libertà. Aveva ragione. E centrò molti degli obiettivi che si era proposto. Manca l’indipendenza, vero. Ma di passi avanti se ne fatti parecchi.

Da noi i secessionisti degli Anni Ottanta hanno fatto irruzione a Montecitorio al grido ‘Roma ladrona’. Poi si sono guardati attorno, hanno fatto un giro alla buvette e si sono trovati bene. Da allora non si sono più mossi. Adesso ci chiedono di andare a votare, come se non fosse successo nulla, come se questa sciagurata nazione non fosse stata governata anche da loro, dai ‘padani’.

Alle urne, chi scrive, ci andrà. E voterà ‘sì’. Ma i promotori di questo referendum dovrebbe prima chiederci scusa per i loro errori e poi fornirci precise garanzie per il futuro. Sì, perché se il centrodestra tornasse al governo del Paese, che fine farebbero i proclami roboanti della Lega contro i governi del Pd, che non concedono autonomia alle regioni? Resterebbero intatti? Qualche dubbio, in proposito, è lecito.