Emozionante testimonianza del fratello di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso dalla mafia nel 1992, all’incontro organizzato dalla Carovana Antimafia con gli istituti Mattei di Rho e Maggiolini di Parabiago. Presenti 400 studenti, che hanno ascoltato gli interventi dentro un silenzio surreale. Una mattinata bellissima, carica di cultura, conoscenza e speranza

1 MARZO 2017

di Francesca Ceriani

RHO (MILANO) – “Palermo non mi piaceva. Per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”. E’ con le parole di Paolo Borsellino che Salvatore, suo fratello “ma solo dal punto di vista anagrafico”, come sottolinea più volte, apre l’incontro con gli studenti che si è tenuto martedì 28 febbraio all’auditorium dell’Istituto Tecnico ‘Enrico Mattei’ di Rho. Il dibattito, organizzato dalla Carovana Antimafia nell’ambito del progetto ‘Il filo della legalità’ (nato dai docenti Annamaria Talia, Daniela Togni e Antonella Reale degli istituti superiori Maggiolini di Parabiago, Olivetti e Mattei di Rho) ha visto la partecipazione di Salvatore Borsellino, Piero Sebri, presidente della Carovana Antimafia Ovest Milano ed Ersilio Mattioni, direttore dell’edizione on line di ‘Libera Stampa l’Altomilanese’ e collaboratore de ‘Il Fatto Quotidiano’.

Le inchieste

Dopo i saluti di rito del sindaco di Rho Pietro Romano e dei dirigenti scolastici Daniela Lazzati, Michela Vittoria e Maria Lamari, l’incontro entra nel vivo con l’intervento di Mattioni, incentrato sulle inchieste in Lombardia e nell’Altomilanese: “Possiamo inquadrare e raccontare le mafie: attraverso le inchieste, gli episodi e i personaggi. Ma per farlo dobbiamo parlare del nostro territorio, dell’Altomilanese, che si è sempre creduto un’isola felice”. Ma la realtà, anche se dura da accettare, è un’altra: la mafia non è sempre lontana, non è sempre e solo al Sud, “la mafia è anche al Nord, a volte siede accanto a noi, a volte ne siamo clienti inconsapevoli, perché le organizzazioni malavitose, spesso servendosi di prestanome, controllano bar, ristoranti, locali notturni”. L’attività criminosa del nostro territorio è gestita quasi interamente dalla ‘ndrangheta, che oggi è una vera e propria impresa: fattura 53 miliardi all’anno, soldi sporchi che provengono dal mercato della droga, dallo smaltimento illecito dei rifiuti, dal racket e dall’usura, dallo sfruttamento della prostituzione. Dati, esempi. E un appello: “La politica ci consegna un Paese devastato dal punto di vista della legalità. Voi giovani potete riscattarlo, ma dovete pretendere – dai vostri insegnanti, dalle vostre famiglie e da chi governa questa nazione – di essere valutati per i vostri meriti e le vostre capacità. La mafia vi offrirà delle scorciatoie: non prendetele. Agite sempre nella legalità. Sarete persone migliori, sarete bravi, competitivi. E guardandovi indietro, sarete anche più felici”.

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Via D’Amelio, strage di Stato

La parola passa poi a Piero Sebri, che racconta brevemente la strage del 19 luglio del 1992, in via D’Amelio. E parla di strage di Stato, della ‘colpa’ per cui Borsellino è stato ammazzato: aveva scoperto un legame, quello tra Stato e mafia, aveva scoperto ‘la trattativa’. Il presidente della Carovana Antimafia Ovest Milanese insiste molto sulle collusioni tra Stato e mafia, sul ruolo dei servizi segreti, sui depistaggi che non hanno mai consentito di fare luce su quella strage, di scrivere una pagina di verità.

La testimonianza

Infine il racconto, appassionato e appassionante, di Salvatore Borsellino. E il filo conduttore di tutte le sue parole è uno: l’amore, quello di cui parlava suo fratello nella frase pronunciata all’inizio. L’amore che Paolo Borsellino aveva per la sua terra, per Palermo, per la sua famiglia, per il suo lavoro e per il suo Paese. Perché “non basta il coraggio per affrontare la morte, ci vuole l’amore. Ed è l’amore che ha guidato tutta la vita di Paolo”, ricorda Salvatore Borsellino. C’è tutto, nelle parole di Salvatore. C’è l’affetto per il fratello, c’è amarezza, c’è stanchezza. Ma soprattutto c’è rabbia, nei confronti di uno Stato che ha abdicato nei territori del Sud Italia, pensando che il ‘tumore’ della mafia sarebbe rimasto confinato solo lì. Così non è stato, e la colpa è di quella parte della politica che con la mafia ci ha fatto accordi, patti e affari. A 27 anni Salvatore se n’è andato da Palermo ed è questo che, a suo dire, lo differenzia da Paolo, e fa di loro due fratelli solo all’anagrafe: “Paolo e Giovanni Falcone erano fratelli. Avevano le stesse idee, hanno condiviso le stesse lotte e, purtroppo, la stessa morte. Io invece da Palermo me ne sono andato. Paolo è restato, ha fatto una scelta d’amore. Io sono stato egoista”. E per anni, Salvatore, alla mafia non ci ha più pensato, illudendosi che al Nord, dove si era trasferito, dove lavorava e dove si era creato una famiglia, la mafia non esistesse. “Seguivo quello che facevano Paolo e Giovanni, li ammiravo. Ma pensavo che in fondo non erano affari miei: io ero al Nord”. Ma Salvatore si rende ben presto conto che anche nei nostri territori la mafia esiste, eccome, ma con una forma diversa: “Al Nord non ci sono le stragi, ma ci sono altri tipi di morti. Qui la mafia ha la forma della finanza, degli appalti, è vestita in giacca e cravatta e sta sovvertendo le regole dell’economia con il suo immenso capitale. Non è forse questa una forma più pericolosa? Ho sbagliato tutto: me ne sono andato dalla terra che amavo per poi incontrare la mafia anche qui, al Nord”. Salvatore Borsellino è tornato a parlare nelle scuole, ai ragazzi, solo nel 2007, dopo 10 anni di lungo silenzio. E l’ha fatto dopo aver ritrovato la speranza che qualcosa possa ancora cambiare, che si possa finalmente abbattere il muro dell’indifferenza.

“Paolo vincerà”

E, forse, che dopo 25 anni si possa fare giustizia per quello che è un omicidio di Stato: “Paolo è stato ucciso da chi avrebbe dovuto combattere con lui. La mafia sa aspettare e non l’avrebbe ucciso dopo soli 57 giorni dall’omicidio di Falcone. C’era fretta, Paolo andava ammazzato subito perché sapeva della trattativa tra lo Stato e la mafia e la sua agenda, dove annotava tutto, andava fatta sparire. La mafia ha materialmente ucciso mio fratello, ma i mandanti sono stati altri”. E ora Salvatore parla ai ragazzi delle scuole, perché ha capito che “la lotta non va fatta per se stessi, ma per gli altri” e che “il sacrificio di mio fratello non è stato inutile. Uccidendo Paolo hanno fatto entrare un pezzetto di lui in ognuno di noi e questo l’ha reso immortale”. E chiude con un appello ai tanti giovani presenti in aula: “Informatevi”. E lo ripete tre volte: “Informatevi. Informatevi. Informatevi. Leggete. Interessatevi alla politica, partecipate, cambiate. Altrimenti crescerete come schiavi. Riprendetevi questo Paese. E’ vostro. E sono sicuro che un giorno voi vincerete. Paolo vincerà”.