Estremo saluto a Parabiago e Arluno, nel Milanese, per Giorgio Moroni, gigante della calzatura scomparso a 57 anni: era socio della Fratelli Rossetti dal 1992
19 LUGLIO 2018
PARABIAGO (MILANO) – Una vita all’insegna delle calzature, nella città della calzatura. Perché anche se era residente ad Arluno, con la moglie Maria Grazia Tabini e la figlia Greta, a Parabiago lo conoscevano tutti. Giorgio Moroni era un uomo amato e rispettato ancor prima di essere un grande imprenditore apprezzato in Italia e nel mondo. Per questo, quando è venuto a mancare lo scorso lunedì 9 luglio all’età di 57 anni per una grave malattia, al suo funerale in piazza Maggiolini – avvenuto martedì 10 luglio – c’erano più di 500 persone a salutarlo. La famiglia ha scelto di cremarlo, perciò non sarà seppellito. Ma non serve una tomba per dimostrare, negli anni a venire, che Giorgio Moroni è stato un gigante.
La storia di Giorgio Moroni
La sua famiglia è nel settore calzaturiero da tre generazioni. Gianfilippo Moroni, suo padre, era uno stilista e produttore di scarpe noto anche all’estero. Venne a mancare nel 1981, all’età di 47 anni. E Giorgio, appena ventenne, decise con coraggio di non far fallire l’impero costruito dal padre: studiò giorno dopo giorno il mestiere e si mise in gioco con tutte le energie. Portò così avanti il marchio di Gianfilippo e produsse scarpe per Manolo Blahnik, Elio Fiorucci, Romeo Gigli, Mariella Burani, Mila Schon, Lario e molti altri.
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Nasce la Erre Emme
Nel 1992 decise che era giunto il suo momento: insieme a Fratelli Rossetti, di cui divenne socio, fondò Erre Emme e ne assunse il comando. L’azienda di via Sansovino, da allora, si occupa della produzione delle calzature per donna della Fratelli Rossetti. Negli anni, la ditta ha lavorato anche per Chanel, Hermes e Louboutin. Ma questo a Giorgio pareva non bastare, era infaticabile. Si dedicò così anche alle consulenze tecniche, ottimizzando le produzioni delle fabbriche di Sergio Rossi e Bally, altri due grandi marchi del settore.
“Gli operai erano la sua famiglia”
La figlia Greta, con orgoglio e commozione, lo ricorda così: “Un uomo che non si è mai fermato, ha lavorato fino a 48 ore prima di morire dal suo letto d’ospedale. Dopo gli interventi, andava in ufficio. Gli operai erano la sua famiglia. E a proposito della nostra, il suo capolavoro è stato essere padre e marito. Ha amato alla follia me e mia madre, era un uomo capace di sorprendere sempre. Ha vissuto per renderci felici. Era davvero unico, e nel suo mestiere era un autentico fuoriclasse”.