Nel processo ‘grillo parlante 2’ si scoprono intrecci inquetanti tra gli imprenditori e la malavita

La villa bunker, in via Cicogna, è sempre sorvegliata dalle telecamere ventiquattrore su ventiquattro. E il capannone con le capre, lì di fronte, è lo stesso dell’ottobre 2012, quando Sabatino ‘Tino’ Di Grillo viene arrestato con l’accusa di concorso in sequestro di persona ai fini di estorsione. Ma Di Grillo, per i magistrati di Milano, è qualcosa di più: è il capo della ‘ndrangheta dell’Altomilanese ed è uno dei più quotati referenti lombardi della temibile cosca dei Mancuso di Limbadi, con la quale è imparentato. Lo scorso novembre, al processo ‘Grillo Parlante 2’, il Pubblico ministero Giuseppe D’Amico ha chiesto per lui una condanna a 8 anni e 6 mesi per estorsione aggravata dalle modalità di stampo mafioso. Ma già lo scorso maggio il ‘boss’ aveva subito una pesante condanna in Appello dalla Corte d’Assise a 10 anni e 10 mesi. Un durissimo colpo inflitto alla ‘ndrangheta territoriale, i cui capi secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano avevano negli anni costruito una fitta rete di recupero crediti tramite estorsioni, spesso eseguite con la ferocia delle minacce mafiose. Di più, molti imprenditori dai cognomi lombardissimi si rivolgevano a loro per recuperare soldi o per avere un prestito che le banche, in assenza di garanzie, negavano. Ne esce un quadro sconcertante, sebbene qualche cretino si ostini a negare il radicamento della ‘ndrangheta nel nostro territorio, dove insospettabili imprenditori non avevano timore di rivolgersi a Di Grillo e soci pur sapendo in anticipo chi fossero e quali metodi utilizzassero. Lo facevano per vari motivi, vuoi perché le vie ordinarie (quelle legali) sono più lente o vuoi perché vivevano un momento di difficoltà. La mafia, invece, va per le spicce, ti aiuta e lo fa in fretta. Poi però ti presenta il conto, presto o tardi. E a quel punto è impossibile dire di no. E’ così che la cosca Di Grillo-Mancuso sarebbe diventata, secondo i magistrati, ricca e potente, esportando in Lombardia il metodo praticato ‘con successo’ da decenni in Calabria. Il tutto fino all’arrivo dei magistrati, che hanno smantellato la rete criminale, arrestando e processando il ‘boss’ Di Grillo, il suo braccio destro e altri picciotti.