Nell’epoca in cui trionfa l’ignoranza popolare qualcuno ne approfitta e riusce a fare business vendendo l’acqua del rubinetto. Un popolo di analfabeti si mette in coda, spilla e se ne torna a casa felice e contento, convinto che quell’acqua sia più buona e che sia gratis. O tempora o mores
24 LUGLIO 2017
MILANO – “La casetta dell’acqua è una stronzata. Ci abbiamo messo cent’anni per portare l’acqua nelle case, non capisco perché adesso dobbiamo riportarla in piazza”. Lo disse nel 2011 Giovanni Alborghetti, sindaco di Villa Cortese, un comune in provincia di Milano. Un uomo saggio, Alborghetti. Infatti la sua è una definizione da scolpire nel marmo. E allora perché frotte di analfabeti fanno la coda davanti alle ‘casette’? Se chiedi loro il motivo, ti rispondono: “Perché costa poco”. Ti vorrebbe voglia di replicare così: “Ma testa di minchia, è uguale a quella che scende dal rubinetto di casa tua!” Non lo puoi fare, sia perché non sta bene andarsene in giro a offendere la gente sia perché tanto non ti capirebbero. Il concetto però resta quello e vale la pena approfondirlo.
La parola agli esperti
La potabilità dell’acqua del rubinetto è garantita. Lo è dalla società che la eroga e lo è, soprattutto, da Asl e Arpa, che eseguono controlli frequenti e molto rigidi. Insomma, c’è da stare tranquilli. Ma chi controlla le ‘casette dell’acqua’? Queste installazioni – più di 800 in tutta Italia – vengono sottoposte a manutenzione una volta all’anno, ma soltanto dalla società che le gestisce. Quanto alla qualità del prodotto, ci ha pensato Altroconsumo a svolgere un test. Risultato: non c’è motivo per preferire l’acqua delle ‘casette’ a quella di casa. Sono identiche. “I rubinetti – spiega Massimo Labra, docente di Biologia vegetale all’Università Bicocca di Milano – erogano un’acqua che, stando ai parametri fissati dal decreto legislativo 31 del 2001, ha uno standard di qualità elevato”.
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Gratuità e ignoranza popolare
Un dato fa riflettere. In Lombardia, nel 2012, furono stanziati 800.000 euro di soldi pubblici per la realizzazione delle ‘casette dell’acqua’. Questi distributori hanno poi un costo annuo per la manutenzione, che si aggira tra i 20.000 e i 30.000 euro. Non fatevi ingannare: anche se i comuni spendono molto di meno (perché è il gestore a farsi carico dei costi), la cifra rimane tale. Insomma, sono i cittadini a pagare il conto, tra contributi pubblici a pioggia e spese per riparare o tenere in ordine le ‘casette’. Però il popolo dei gonzi fa la fila, spilla l’acqua, paga poco o nulla ed è contento così, non capendo che di gratis non c’è assolutamente nulla. E’ il trionfo dell’ignoranza popolare. Imbarazzante.
Chi ci guadagna?
Dove c’è sfruttamento dell’ignoranza popolare – che in Italia, popolo di stolti, è cosa assai poco complicata – c’è sempre qualcuno che ci guadagna. In questo caso, per capirlo, basta leggere i nomi dei gestori delle ‘casette del’acqua’, che da un lato generano business facendoti pagare la stessa acqua che scende dal rubinetto di casa (la raffreddano un pochino e ci mettono quattro bolle) e dall’altro, moda più recente, allegano alla ‘casetta’ un distributore di bibite e di altri prodotti scadenti. Vuoi non bere un coca cola, già che sei uscito di casa? Vuoi non mangiare quattro patatine piene di conservanti? Ci mancherebbe. Paga, somaro italiano: l’acqua del tuo rubinetto spillata in piazza e pure le patatine di compagnia.
O tempora o mores
E’ una moda, la ‘casetta dell’acqua’. Che prima o poi passerà. Prima però arriveranno altre ‘casette’: del latte (in alcuni comuni già c’è), del vino, della birra e di questa minchia. Quando ci si stuferà, gli stessi che oggi fanno le code cominceranno a criticare quei sindaci che hanno installato le ‘casette’, lamentandosi del fatto che sono sporche, che sono rotte, che costano troppo e che, in fondo, erogano un’acqua identica a quella di casa. Allora questo popolo di cerebrolesi si sentirà intelligente. E sarà pronto per farsi ‘intortare’ dal prossimo venditore di fustini.