E’ il turno del Pd, che vanta una discreta schiera di indagati nel parlamento italiano, fra cui l’attuale premier Matteo Renzi (anche se nessuno ne parla). Sono 14 gli esponenti ‘dem’ con guai con la legge (contro i 38 dell’ex Pdl, oggi Forza Italia e Ncd). Come sempre, ringraziamo i colleghi de ‘L’incredibile parlamento italiano‘, che tengono il triste elenco sempre aggiornato
15 MARZO 2016
I 13 PARLAMENTAR PD (14 CON RENZI) CON PROBLEMI GIUDIZIARI
1. BARRACCIU Francesca (PD, eletta in Sardegna) – Viceministro del Governo Renzi. A processo per peculato. Gli vengono contestate spese illegittime per 78.000 euro. I magistrati hanno chiesto la momentanea interdizione dai pubblici uffici per pericolo di inquinamento probatorio, ma il parlamento l’ha negata. Il caso riguarda i sontuosi rimborsi benzina incassati dalla regione Sardegna. Barracciu sostiene di essere stata in giro per l’isola a parlare di politica, ma la polizia giudiziaria accertò che in parte delle date indicate nella memoria difensiva l’allora consigliera regionale Pd si trovava altrove e spesso in luoghi che non avrebbe potuto raggiungere in auto. In un caso era addiruttura all’estero. Tra le accuse anche seminari e appuntamenti pagati con i fondi del gruppo consiliare del Pd. Sono soldi che avrebbe ricevuto la Evolvere srl, società della quale farebbe parte anche il compagno della Barracciu e di cui lei stessa è stata amministratore unico. La società organizza corsi di formazione capace di aggiudicarsi nel corso degli anni finanziamenti pubblici per 5 milioni e mezzo.
2. BUBBICO Filippo (PD, eletto in Basilicata) – Viceministro degli Interni, già ‘saggio’ nominato dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel 2013. Sotto inchiesta da parte della Corte dei Conti per consulenze ingiustificate, quando sedeva nell’ufficio di presidenza del consiglio regionale della Basilicata. Indagato inoltre per abuso d’ufficio, insieme al ministro degli Interni Angelino Alfano, nella vicenda dell trasferimento del prefetto di Enna che aveva commissariato l’Università Kore, molto cara al ras del Pd locale, Vladimiro ‘Mirello’ Crisafulli.
3. DE FILIPPO Vito (PD, eletto in Basilicata) – Viceministro alla Sanità. A processo per peculato in Basilicata sulle spese pazze al consiglio regionale. La Procura sta anche indagando su presunte irregolarità nell’erogazione di fondi regionali all’impresa della figlia, quando De Filippo era governatore. A gennaio 2015, per la medesima inchiesta sui rimborsi ottenuti tra il 2009 e 2010, De Filippo è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire il danno prodotto alla Regione. Con lui sono stati condannati altri 21 amministratori e consiglieri regionali, tra cui anche il suo successore alla presidenza della Regione, Marcello Pittella, oltre a rappresentanti di tutti i gruppi compreso, l’onorevole Vincenzo Folino del Pd, per un totale di 196 mila euro.
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4. FOLINO Vincenzo (PD, eletto in Basilicata) – Condannato dalla Corte dei Conti per aver intascato rimborsi illegittimi dalla regione, a processo per peculato a Potenza. In passato coinvolto in un inchiesta per turbativa d’asta nello scandalo Sanitopoli della Basilicata. Secondo la Procura avrebbero pilotato i servizi di pulizie e facchinaggio. Non è dato sapere che fine abbia fatto quell’inchiesta.
5. GENOVESE Francantonio (PD, eletto in Sicilia) – La Procura di Messina, nel Marzo 2014, ne ha richiesto l’arresto per associazione a delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, nella vicenda dei fondi regionali ed europei destinati alla formazione professionale che avrebbe intascato in maniera illecita per sé e per le proprie clientele. Il Parlamento oppone per 2 mesi continui rinvii nel voto di autorizzazione. Viene poi arrestato il 16 maggio 2014. (tramutato dopo una settimana in arresti domiciliari). Non solo. Il 7 Agosto 2014 il parlamento italiano (con il voto di Pd, Forza Italia, Ncd, Scelta Civica, Sel, Gruppo Misto-Psi) ha negato l’utilizzo delle intercettazioni successive al 12 dicembre 2011 (cioè quelle più importanti ai fini processuali) tra le dure proteste in aula del Movimento 5 Stelle. Secondo gli inquirenti Genovese è “al centro di una fitta trama di società e di clientele. L’unico scopo è quello di drenare denaro pubblico. I corsi di formazione erano organizzati dalla Regione con finanziamenti europei. Venivano emesse fatture false o rifatte, attraverso società schermo tra Regione ed enti che erogavano formazione cui venivano chiesti servizi. I prezzi cui venivano noleggiati attrezzature informatiche e locali erano decisamente superiori a quelli di mercato. La differenza permetteva di lucrare”. La moglie (arrestata nel dicembre 2013) è a processo con giudizio immediato nella stessa vicenda. Continua a percepire una sontuosa indennità (circa 10.000 euro al mese). L’opposizione ha chiesto che gli venisse sospesa, ma l’ufficio di presidenza della Camera dei deputati, presieduto da Laura Boldrini, si è opposto.
6. GULLO Tindara Maria (PD, eletta in Sicilia) – A processo a Messina per falso ideologico e voto di scambio. L’inchiesta denominata ‘Fake’ coinvolge 156 persone e ha visto 12 arrestati (tra questi anche il padre della Gullo) e vede indagato il cugino, consigliere provinciale. Sono ritenuti facenti parte di un’associazione per la commissione di reati di falso in atto pubblico e in materia elettorale, al fine di consentire la raccolta di voti per sostenere la candidatura a sindaco di Luigi Gullo. La Gullo è considerata vicina all’onorevole Francantonio Genovese. Infatti e voto ‘no’ alla richiesta di arresto nei suoi confronti.
7. LANZILLOTTA Linda (PD, eletta nel Lazio) – Condanna in sede civile della Corte dei Conti per danno erariale per consulenze ingiustificate (40.000 euro). I fatti risalgono a quando era assessore al bilancio del Comune di Roma, nella giunta guidata dal sindaco Francesco Rutelli.
8. MARGIOTTA Salvatore (PD, eletto in Basilicata) – Condannato in secondo grado a 1 anno e 6 mesi per corruzione e turbativa d’asta. Avrebbe intascato la promessa di una tangente da 200.000 euro per la realizzazione di un centro petrolifero in Basilicata. Il suo partito non ne ha chiesto le dimissioni.
9. OLIVERIO Nicodemo (PD, eletto in Calabria) – A processo a Roma con altre 14 persone per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale aggravata, in uno dei processi sullo scandalo del patrimonio immobiliare della ex DC. Il processo si avvia verso la prescrizione grazie ai tempi biblici del Tribunale di Roma e alle leggi rallenta-processi vigenti in Italia.
10. PAOLUCCI Massimo (PD, eletto in Campania) – Condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale nello scandalo rifiuti di Napoli (560.000 euro).
11. RENZI Matteo (PD, non eletto, presidente del Consiglio dei ministri) – La Procura di Firenze ha aperto un’inchiesta senza indagati, per la vicenda di una casa nel capoluogo toscano, dove Renzi ha soggiornato frequentemente dal 2011 al 2013, il cui affitto è sempre stato pagato dall’imprenditore Marco Carrai (Carrai ha a sua volta ottenuto svariati incarichi in società controllate dal Comune e appalti dall’allora amministrazione Renzi). Quando era presidente della Provincia di Firenze la giustizia contabile gli ha contestato un danno erariale: l’assunzione presso la Provincia di 4 dirigenti, in violazione delle disposizioni riguardanti la contrattazione collettiva del comparto: avrebbe inquadrato nel suo staff 4 persone esterne all’amministrazione come funzionari, qualifica che richiede la laurea, pur non possedendola. L’indagine era nata da una denuncia sull’assunzione di Marco Carrai, sistemato nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del diploma di laurea. Così per 5 anni i 4 fortunati avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato e non dovuto. Una violazione che avrebbe prodotto un danno per l’amministrazione stimato in 2,1 milioni di euro. Renzi subisce 2 condanne (4 agosto 2011 e il 9 maggio 2012) dalla Corte dei Conti, insieme ad altre 20 persone, per danno erariale. Ma in appello viene assolto con una sentenza unica nella storia della giurisprudenza: i giudici della I sezione centrale di Appello di Roma il 4 febbraio 2015 sentenziano che: “Pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta ‘esimente politica’, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un non addetto ai lavori”. In poche parole, Renzi, laureato in giurisprudenza e con a disposizione uno staff legale da presidente di Provincia, viene assolto perché non in grado di percepire le illegittimità del proprio operato. L’ignoranza della legge, mai ammessa in giurisprudenza, viene fatta valere eccezionalmente per il premier. Il giudice che emette la sentenza, 2 mesi dopo, viene nominato a capo della Corte dei Conti. Il 27 ottobre 2003, un giorno prima dell’ufficializzazione della sua candidatura a presidente della Provincia di Firenze, Renzi si fa ‘assumere’ dall’azienda di famiglia (la Chil Srl ora rinominata Eventi 6) che trasforma il suo contratto da Co.co.co (Collaborazione Coordinata Continuativa) in uno da dirigente. Da quel momento Renzi, in caso di elezione, avrà diritto ai contributi pensionistici figurativi. La legge infatti prevede che sia l’ente locale a pagare i contributi e a versare il TFR ogni anno. Grazie a quella ‘assunzione’, Provincia e Comune hanno già pagato (ovviamente con soldi pubblici) circa 43.000 mila euro di contributi fino all’inizio del 2014 per costruire la pensione e il TFR di Renzi. 10 anni dopo, quando un inchiesta del Fatto Quotidiano ne rivela la vicenda a livello nazionale, nel maggio 2014 Renzi annuncia che si sarebbe dimesso dalla società di famiglia. Ma nel luglio 2015 lo stesso giornale scopre che Renzi ha comunque incassato i 43.000 euro.
12. RIGONI Andrea (PD, eletto in Toscana) – Condanna in primo grado a 8 mesi per abuso edilizio, a Porto Azzurro (Isola d’Elba). E’ subentrata la cara e vecchia amica di tanti politici: la prescrizione.
13. TOCCI Walter (PD, eletto nel Lazio) – Da ex vicesindaco e assessore del comune di Roma è stato condannato per danno erariale dalla Corte dei Conti per “non aver posto in essere (come doveva, quale assessore competente) i meccanismi atti a verificare la regolarità e la proficuità della gestione” di ATAC/CRP (a loro volta condannate) dei parcheggi a pagamento della capitale.