Motivazioni depositate. Ecco perché Mario Mantovani (Fratelli d’Italia) è passato da una condanna a 5 anni e 6 mesi di carcere a un’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Per i giudici d’appello “mancano elementi probatori sicuri”. La Procura ha tempo 45 giorni per il ricorso in Cassazione
ARCONATE (MILANO) – C’era molta attesa per conoscere le motivazioni della sentenza della Corte d’appello di Milano, che ha assolto Mario Mantovani da tutti i reati. La Procura aveva chiesto e ottenuto una conferma dai giudici di primo grado. Che avevano condannato l’ex sindaco di Arconate ed ex vicegovernatore della Lombardia per corruzione, abuso d’ufficio e turbativa d’asta. In molti si sono chiesti come fosse possibile passare da una condanna a 5 anni e 6 mesi di carcere a un’assoluzione con formula piena.
Motivazioni
Ora una risposta possibile esiste. La si può leggere nelle 227 pagine di motivazioni della sentenza. Che chiama in causa il potere discrezionale dei giudici, che applicano la legge ma non di rado possono anche interpretarla.
La corruzione
Secondo l’accusa Mantovani ha raccomandato un suo amico architetto per fargli avere commesse pubbliche in cambio di lavori gratis per sé e per i suoi familiari. La Corte d’appello ha stabilito che sulla corruzione mancano “elementi probatori sicuri circa l’accordo di scambio tra i compensi dell’architetto Gianluca Parotti per le attività riguardanti Villa Clerici e l’affidamento di incarichi nel settore della sanità pubblica”.
La raccomandazione
E ancora, con altre motivazioni. “La condotta di Mantovani, meno che commendevole, non potrebbe comunque inquadrarsi in quel fenomeno corruttivo che viene generalmente descritto come asservimento (o vendita) della funzione”. In altre parole, una raccomandazione o una segnalazione di un amico per procurargli un incarico pubblico non è certamente una bella cosa, ma non è per forza un reato.
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La casa di riposo
Stesse motivazioni per la casa di riposo di Arconate. Concepita quando Mantovani era sindaco, alla gara partecipò un solo soggetto e la struttura fu realizzata da una società riconducibile allo stesso ex sindaco e presieduta dal suo braccio destro, Michele Franceschina. Ma per i giudici d’appello “non emergerebbe come Franceschina avesse potuto influenzare la procedura di gara, allontanando i concorrenti o interferendo nel bando”.
Ricorso in Cassazione
E’ evidente come due collegi giudicanti abbiano letto gli stessi fatti in due modi completamente diversi dai giudici di primo grado e da quelli di secondo. Per questo la Procura di Milano sta valutando il ricorso in Cassazione (ci sono 45 giorni di tempo per decidere) chiedendo alla Suprema Corte di annullare la sentenza d’appello.