La ‘locale’ di Rho era diventata potentissima, al punto da garantire le basi logistiche per agevolare gli affari della ‘ndrangheta in Friuli Venezia Giulia, trattenendo il 5% sui traffici milionari di droga e armi. Oggi però il capo della mafia calabrese nel Rhodense si è pentito e ha fatto i nomi degli affiliati. L’inchiesta parte da Gorizia, ma fa tremare anche l’Altomilanese
5 luglio 2016
RHO (MILANO) – La ‘ndrangheta a Rho, ancora. Ma stavolta con un compito diverso: fornire una base logistica per consentire alle cosche calabresi di penetrare in un terra ancora incontaminata, il Friuli Venezia Giulia. Lo rivela un’indagine – resa nota dal Messaggero Veneto – della Direzione distrettuale antimafia di Trieste. Secondo quanto accertato dai magistrati l’accordo fra clan fu siglato più di vent’anni fa: la ‘locale’ di Rho garantiva il proprio supporto agli ‘ndranghetisti di Monfalcone, in provincia di Gorizia, in cambio del 5 per cento sui proventi illeciti del traffico di droga e di armi. Un traffico, quello gestito dalla cosca friulana, capace di muovere fino a un chilo di cocaina alla settimana. E un fiume di soldi, soprattutto fra il 2007 e il 2011, che avrebbe reso milioni di euro.
Voti sporchi
Rho e la ‘ndrangheta, per la terza volta in cinque anni. Nell’ottobre 2012, nell’inchiesta ‘Grillo Parlante 1’, finiscono agli arresti diciannove persone, fra cui l’allora assessore regionale Pdl Domenico Zambetti, il già sindaco di Sedriano Alfredo Celeste e il chirurgo della Humanitas Marco Scalambra, un medico con la passione per la politica (in Forza Italia prima e nel Pdl poi) e per l’urbanistica. E’ proprio lui, il dottore, a essere indicato come il collettore di voti dello cosche calabrese, colui che poco prima delle elezioni di Rho spedisce un sms al candidato Marco Tizzoni (che corre con la lista civica ‘Gente di Rho’ a sostegno del candidato sindaco della Lega Nord, Fabrizio Cecchetti). Il testo di quel messaggio diventerà famoso: “Fai sapere entro domani se ti interessano i voti della lobby calabrese”. Tizzoni rifiuta e il centrodestra perderà per una manciata di schede. Su Scalambra, al processo in corso a Milano, pende ora una richiesta di condanna a 6 anni e 6 mesi: la sentenza è attesa in ottobre.
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Politica e urbanistica
Nell’aprile 2014 l’ex consigliere Pd Luigi Addisi viene arrestato per riciclaggio e abuso d’ufficio con l’aggravante di aver favorito la ’ndrangheta. Addisi, lo scorso aprile, è stato condannato in primo grado a 7 anni di carcere. La questione riguarda un terreno nella frazione di Lucernate, che durante la prima giunta del sindaco ‘dem’ Pietro Romano cambia destinazione e diventa edificabile. Addisi – nato in Forza Italia, transitato nell’Udeur di Clemente Mastella e poi giunto sulle sponde del Pd, dove viene accolto a braccia aperte e candidato alle elezioni comunali 2011, forse anche in virtù di un cospicuo pacchetto di voti che porta in dote – è indicato dai magistrati come la copertura politica per quell’operazione che interessa alle cosche: i boss fanno arrivare al costruttore Franco Monzini, anche lui arrestato per concorso esterno, 300.000 euro in banconote da 500, denaro che serve appunto per acquistare quell’appezzamento prima che cambi destinazione. Obiettivo centrato. A beneficiarne è la cosca Mancuso di Limbadi. Che Addisi conosce, non fosse altro per aver sposato Annunziata Corsaro, nipote del boss Pantaleone Mancuso, condannato a 14 anni per estorsione aggravata.
Il boss di Rho
Che la mafia calabrese fosse di casa a Rho è un fatto notorio da molti anni. Ed è un fatto notorio che la politica abbia fatto poco o nulla per combatterla o, almeno, per tenerla lontano delle istituzioni. Ora però si scopre che la ‘ndrangheta nostrana è talmente potente da non limitarsi a fare affari nel rhodense, garantendo anzi sostegno e protezione persino ai ‘compari’ in terra friulana. Lo vicenda è raccontata da un collaboratore di giustizia, che è stato ritenuto credibile proprio per essere stato lui stesso il reggente della ‘locale’ di Rho, persona dunque a conoscenza di fatti e circostanze.
Da Rho a Gorizia
E’ la prima volta che, in Friuli Venezia Giulia viene spiccata un’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. La ‘locale’ di ‘ndrangheta, secondo gli investigatori, è attiva a Monfalcone, in provincia di Gorizia. E Giuseppe ‘Pino’ Iona ne sarebbe il capo, almeno dal 2008 a oggi. Iona, qualche giorno fa, si è presentato davanti agli inquirenti, che gli hanno notificato un avviso di garanzia e, a sorpresa, hanno chiamato un collaboratore di giustizia, noto a Iona, davanti al Giudice per le indagini preliminari. Il pentito ha descritto Iona come un vero boss, parte di un sodalizio criminale dedito principalmente al traffico di stupefacenti e al traffico illegale di armi provenienti dai paesi dell’Est. Ed è qui che entrano in scena i comuni dell’Altomilanese, perché quel pentito, già capo della ‘locale’ di Rho, ha reso noti i nomi degli affiliati, pronti a eseguire ogni tipo di ordine. Il boss friulano però non si volava far notare nell’area di Gorizia, per non destare i sospetti delle forze dell’ordine, preferendo quindi avvalersi della ‘esperienza’ degli ‘amici’ rhodensi. Chi sono questi affiliati? L’elenco è segretissimo: all’interno non ci sarebbero soltanto i ‘picciotti’, ma anche stimabili professionisti che da decenni vivono in quella zona d’ombra, collegamento ‘naturale’ tra la politica e la criminalità organizzata.
Il patto mafioso
Se l’accordo tra Rho e Gorizia ha funzionato a meraviglia per anni (in cambio di basi logistiche, ogni mese il 5 per cento dei traffici di droga e armi veniva versato nelle casse dei mafiosi di Rho), esisterebbe una ragione precisa: gli ‘ndranghetisti rhodensi sono ritenuti affidabili, sia perché sono in grado di tessere rapporti con persone ‘altolocate’ sia perché sono strettamente legati, anche da parentela, con i bossi della terra d’origine. Dove si prendono tutte le decisioni, perché il cervello della ‘ndrangheta, dalla Calabria, non si è mai mosso.